LA VITA NELLE COSE

Il testo è un flash-back, scritto in un paio di ore, un giorno in cui ho deciso di raccontare la demolizione di casa mia, avvenuta il 4 ottobre 2011 ad opera dei Vigili del Fuoco.
La mia casa era inclinata di 12 centimetri.

 

Mentre guardavo desolata intorno a me, il Vigile del Fuoco si girò di spalle.
Ebbi la sensazione di quando il veterinario chiede a John Grogan: “Vuole che vi lasci da soli un attimo?” prima di praticare l’iniezione letale a Marley.
Diversamente dal veterinario, il mio Vigile del Fuoco non poteva andarsene, non poteva lasciarmi lì dentro da sola, doveva assistere all’ ultimo saluto alla casa.
Mio fratello mi dice: “Non vuoi portare via qualche altra cosa?”. La voce per rispondere non mi usciva: piuttosto sentivo risuonare, in quel corridoio, feste e voci e giorni di pasqua e di natale, e la figura di mio padre, e i giocattoli, e cose, cose, cose. Di quando Dino sbatté la fronte sul termosifone per colpa mia. Di quando mi comprai due pulcini colorati che scorrazzavano ovunque. Di quando con la mia amica Paola comunicavamo con due telefonini rossi di plastica calando il filo dalla finestra del bagno. Di quando passavamo ore e ore nell’atrio del palazzo a cercare le mattonelle storte…
No, va bene così, grazie” ho detto al Vigile.

Dopo un attimo, Dino torna dalla cucina con due sedie, una per mano: due sedie di castagno, non antiche, solo “vecchie”, come uscite dalla soffitta della Signorina Felicita, due sedie di castagno stile country, un po’ sgangherate, me le ricordo da sempre. E poco dopo, con la stessa espressione di Dino, mi si avvicina anche il Vigile del Fuoco, ma lui ha in mano un orologio a muro, lo ha spiccato dalla parete di fronte, me lo porge, perché io lo prenda. Non dimenticherò mai quella faccia, quella mano che trema, e chissà quante volte gli era capitato di fare la stessa cosa, per altri, prima di ogni demolizione.
Presi l’orologio, mi aiutarono a portare giù le due sedie.
Dissi addio, mandai un bacio, lasciai la porta aperta. Non per la casa, per la vita, che non demolisse con lei.
Poi mi rimproverai un po’: da quando? Da quando questo attaccamento alle cose? Perché? La rifacciamo! La rifacciamo più bella! La rifacciamo che non si inclina più!”. Poi capii che non era quello, era la vita, era chi non c’è più, era i 309, era i palazzi antichi, era gli avvoltoi che mi ruotano in testa da quasi tre anni ormai, profittatori della fragilità e della debolezza, era che non tutti capivano, era che il mio è sempre il lato sbagliato della strada. Era il dolore di mio padre, che sentivo dall’aldilà, per quelle care cose, per quegli oggetti, messi qui da lui a uno a uno, era il dolore di mio padre, che se ne andava un’altra volta, insieme a quegli oggetti che io stavo lasciando lì al macero tra le macerie.

Mi ritrovai per strada, due sedie, un orologio, e non sapere che fare.
E mo’ queste ddò le metto, ché a casetta, se entrano loro, esco io?
E così le portai da Patrizio. “Me le tieni, Patrì? Magari un giorno me li ridai, chissà… “.
Patrizio è uno di quelli che con le cose ci parla. Conosce il legno, il marmo, conosce gli impianti elettrici e l’argilla, i tubi e le tegole dei tetti. Solo gli zotici non capiscono che le sue sono mani di artista e che il suo cuore è un cuore di poeta.
Patrizio mi capisce subito, non devo spiegare niente, non devo giustificare che non sono sedie antiche ma solo vecchie, lui capisce, abbraccia le sedie come due bambini, se le mette in macchina e poi abbraccia me, desolato… Sì che capisce, lui.

Passa un mese.
Ieri sera suonano alla porta di casetta, apro, e davanti a me ci sono le due sedie, belle, lucide, rimesse a nuovo, come appena uscite dal falegname. C’è sopra un biglietto: “Sono contento di aver contribuito, con il mio intervento, a preservare questi due oggetti, che tu, con il profondo rispetto che nutri verso di loro, hai voluto salvare, legata ad essi da ricordi cari e lontani”. Leggo, non faccio in tempo a dire “ma….” che dall’ombra sbuca lui, Patrizio, ridente con quella faccia da birbante. “Ti ho portato a salutare le bambine!”.
Le cose… Le cose, loro, non hanno valore. Ma hanno il pregio di avere un’anima che unisce le persone. O le divide per sempre.

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Bob Dylan – If you see her say hallo