SITZ!… PLATZ! 😉

Siediti ancora una volta ad ascoltarmi.

Da oggi avrai altri compiti, che non saranno più i miei.

Ma… vorrei consegnarti gli ultimi:

Sii sereno, qualunque strada prenderai domani.

Pensa al tuo passato scolastico con affetto e tenerezza.

Dimentica se ti sono stati fatti dei torti, errare humanum.

Porta segretamente la fierezza del tuo percorso.

Se sarai un capo, fatti piccolo, dài sempre voce a chi non ne ha.

Se sarai piccolo, mantieni intatti i grandi spazi del tuo spirito, perché nessuno è il lavoro che fa.

Ovunque ti porti la strada, ricordati che non sarai mai le scarpe che avrai ai piedi.

Sappi il rispetto che devi all’età, o ai ruoli, ma non dimenticare mai quello verso te stesso.

Ricorda che la lingua che ti ho insegnato ti consentirà di esprimere anche il dissenso, nel modo corretto, nei luoghi e nei modi opportuni.

Non circondarti di servi sciocchi: un oppositore leale saprà renderti una persona migliore, invece i servi sciocchi ti confermeranno in ogni errore.

Tieniti lontano dalle persone negative: e se te le troverai a fianco, obtorto collo, prenditi ogni giorno il tempo e lo spazio necessari a non farti contaminare.

Porta con te il Sorriso e l’Allegria, segni intoccabili di Cultura.

Conserva in te quel pacchetto che ti ho consegnato attraverso ogni storia e ogni poesia.

Crea intorno a te una porzione di mondo in equilibrio, e mantienila con cura, tutti i giorni.

E ora… guardami con la pietas che ti ho insegnato: quando ho sbagliato, quando ero stanca, quando mi portavo in classe le preoccupazioni che avrei dovuto lasciare fuori dalla porta, quando non ho rispettato i tuoi tempi, quando ho avuto aspettative esagerate su di te, sappi che mai ci fu l’intenzione di nuocere: primum non nocere.

Ultimo, e non ultimo: dimenticami!

Non sono importanti gli insegnanti.

Sono importanti le storie che ti hanno raccontato.

E sono in te.

Con amore – prof

Quando vi ho preso cuccioli

MA SUCCEDONO TUTTE A TE?

Adesso qualcuno mi ferma e ridendo mi chiede: “Ma capitano tutte a te?”
Vi dirò un segreto: quello che io racconto, e che capita a me, in realtà succede pure a voi. Anzi, a voi di più, perché mentre io sono qui a scrivere, a voi sta sicuramente succedendo qualcosa.
Però bisogna accorgersene. Semplicemente, io me ne accorgo. E so tradurlo.
Ogni fatto è una metafora. Senza leggerlo come una metafora, quel fatto è insignificante: non è un bel quadro, è solo una crosta, uno stupido scarabocchio.
La metafora è il sale della vita, è quello che ti fa ridere ti fa piangere davanti a qualsiasi cosa. Perciò quando mi chiedono Ma è possibile che capitano tutte a te? Io rispondo che… il segreto è la metafora! Vedere le cose diverse da ciò che sono, vedere altro, e poi io lo scrivo, ed è proprio lo stesso che tu pensavi, ce l’avevi anche tu sulla punta della lingua.
Era quel non so che che stava dentro e non riusciva a uscire. Qualcosa di non detto che quando lo dici, quando lo capisci, e senti un Eureka, una lampadina che si accende, è come quando i Pokémon si evolvono, come quando un software fa l’upgrade. E’ come quando calpesti una pozzanghera, e non ti accorgi che ha la forma di una mucca. Io la mucca la vedo.
Non mi ricordo chi ha detto che ci sono due modi di vivere: come se tutto fosse un miracolo, o come se niente fosse un miracolo. E’ come dire: come se tutto riesca a stupirci, o niente riesca a stupirci.

Perfino una cacca di cane lasciata a terra da qualche cafone, diventa un segno, più ancora della sua stessa barbarie. E se la calpesti (merda!), ti metti a ridere, a ridere e a ridere, perché stavi con la testa tra le nuvole.

E poi ti dici: “Perché, dov’è che deve stare, la testa?”. Eh sì, i piedi devono stare per terra, e la testa tra le nuvole. Mai il contrario.

Ecco perché, capitano tutte a me.

SPECULUM VERITATIS

Gli esperti dicono che i mali sociali dell’800 furono l’isteria e il masochismo.

Il male iniziato nel Novecento sarebbe, invece, il narcisismo. Ed è vero, accidenti.

Dovunque ti volti puoi trovare queste personalità accentratrici, che generalmente amano affiancarsi ad una Eco che possa ripetere quello che dicono, proprio come nel mito di Narciso.

Non si capisce per quale motivo sono superiori a tutti gli altri: non hanno fatto niente non sanno fare niente non hanno niente di più. Eppure la loro convinzione intima e profonda è che sono i migliori: the best in the world.

Nessuno riesce a scalfire questa loro  corazza, una corteccia fatta di convinzione e di un amor proprio che li fa vivere chiusi chiusi dentro il loro specchio, incapaci di apprezzare qualsiasi cosa.

Navigano in un acquario, convinti che sia il mare.

Mostrano un atteggiamento o rabbioso o schifato: non camminano, levitano.

La tua presenza lì infastidisce, perché è insulsa. Ti guardano, ti leggono, e poi dicono: “Tzé, scontata!”. E fallo tu, lo scontato che faccio io. Dille tu, le cose scontate che dico io.

Oppure tanti colleghi che hanno i miei stessi Trenta e lode sul libretto, però i loro valgono più dei miei! Da dove gli deriva questa convinzione?

È che gli specchi sono falsi e bugiardi: riflettono ciò che pensi, e tu di te pensi tutto il bene possibile, e tutto il male del resto del mondo. Ti vedi bellissimo, grandissimo, intelligentissimo.

Cammini, fai lezione, stai in famiglia, vai in bagno… sempre con quello specchio in mano, non puoi lasciarlo mai, se lo lasci sei fregato.

Un giorno ti cadrà, dalla mano anchilosata che lo ha tenuto stretto per così tanti anni.

E allora ti vedrai a pezzetti.

Ognuno di essi ti dirà qualcosa di te che non sapevi.

E l’immagine globale che tenterai di ricostruire nella tua testa unendo tutti quei pezzetti sarà la stessa del Ritratto scoperto in soffitta.

E sarà tardi.

 

RESTA

Torna la vecchia chiesa nuova nelle valle
del fiume scarno
che da solo corre.

Resta lì accanto il gran tendone bianco
e la casetta
di legno con la croce e la campana
di ferro dalla voce
cara.

Una madonna senza mani
rubate dalla terra in una notte sola,
resta.

Racconta che i miracoli
non hanno mai le mani.

Perché le mani pregano, pretendono,
in elemosine si stendono.
Però con una danno,
e con quell’altra prendono.

Quella madonna senza mani dice
che c’è un unico miracolo che resta.

Quello fatto dal cuore
e dalla testa.

Madonna_Sant_Elia

Patty Smith – Pastime Paradise

LA FORZA

 

Parlano e contano.
Parlano e dicono
parlano e contano
numeri, fatti grafici, statistiche.

Importa forse quanti caduti restino per terra
a chi non sta sul fronte
a combattere la guerra?

Importa niente, ai numeri che fanno storia,
delle nostre schiene
piegate sotto il peso dei traslochi
senza più memoria?

Noi non abbiamo
una stupida vita normale.
E non può cambiarla
uno stupido albero di natale.

E lo sapete?
Il mio non ce lo cambierei
col vostro abete.

Non può cadere
quello che già frana.

Perché è talmente fragile
da avere una forza sovrumana.

 

albero
L’alberello di Patrizio – L’unico possibile – … Grazie 🙂

 


Dylan – Like a rolling stone

ELEGIA IN MORTE DELLA PIETAS

Ecco
io potrei scrivere un trattato
sull’assenza dell’umana comprensione.

Quella che ti legava all’ospite,
al vicino, all’amico ed al nemico vinto
o vincitore.

E non c’è più, l’umana comprensione.
La fame
ha preso il posto di ogni idea,
la fame nera
quella che più mangi e più ne vuoi
e che ti spinge a uccidere, più o meno virtualmente
chi non si sottomette
al tuo gioco deficiente.

Fame che rende brutti,
fame di apparenza, di cariche, di sopraffazione.

Fame di potere
che fa della tua faccia
il ritratto del sedere.

che ho detto

The Cure – “Disintegration”

DIALOGO PERFETTO

Ti vengo a trovare ogni giorno,
ed è un grande conforto.

E’ tanto quello che prendo,
poco quello che porto.

Me stessa, ti porto, me stessa
lagnosa, un po’ triste, perplessa.

Mi siedo, ti parlo, sorrido.
Ma tu non mi senti,
nemmeno se grido.

Alzheimer, negli ultimi inverni
ti fa disponibile a giorni alterni.
E son pochi i tuoi gesti materni.

Eppure mi basti.
Mi siedo, ti guardo, ti parlo.

Assumo espressioni felici,
parlando spalanco ogni tanto
dei grandi sorrisi…

E intanto ti sgrano un rosario di lagne,
mi sfogo, mi svuoto
di tutte le mille magagne
che affliggono questi miei giorni.

E tu non ritorni.

“Oh mà, mi so’ proprio stancata,
qui va tutto storto, non ce la faccio!”

Intanto camuffo ridendo,
e accarezzo il tuo braccio.

Non ascolti, mi guardi, capisci
soltanto che io ti sorrido,
e allora felice annuisci.

“Oh mà, se sapessi che lotta
ogni giorno a star dietro alle carte
alle case, alla roba che è rotta!”

Sorrido, sorridi.
E’ bello che io posso dire
e tu non capisci.

Un giorno,
convinta che non ti raggiungo,
sorrido alla grande e ti dico:
“Oh mà, mo’ basta, so’ cotta,
mi arrendo. Tiro le cuoia!”

Ma tu invece c’eri,
in quel raro momento.

E senza scomporti per niente,
dal lucido rintronamento,
fai cenno ch’io porga l’orecchio,
t’accosti e bisbigli così:

“Ascoltami bene, Luì,

chi te lo fa fa’,
a morì?”

scarpe rosse

Shoot the moon – Nora Jones

SVUOTACANTINE

 
T’illudi
quando cigola e s’apre
la saracinesca pesante.

Ti aspetti le voci,
i pezzi di vita.

L’attesa
è respiro sospeso,
è paura.

Di tutto il prezioso tesoro
riposto quell’anno con cura

si apre
in rivoli d’aria e di luce

il regno dei topi,
dei ragni
nei nidi contorti.

Ti dici di nuovo “che salvo?

Richiudi
e non tocchi.

Ammucchi le carte
senti una musica.

E chiudi gli occhi.

 

cantina
 

Lezioni di piano – colonna sonora

IL PANE QUOTIDIANO

Ferri,
colonne,
gru con i carrelli.

Per tanti,
inutile paesaggio.

Non per noi
che col passaggio
scriviamo su ogni strada
nuova storia.

Tracciamo una memoria
col semplice cammino
e l’emozione.

Riempiamo spazi vuoti
con l’immaginazione.

Di ogni casa,
viviamo la salita.

E’ così
che si ricuce la ferita.

Rammendo
coi miei occhi
ogni ferro, ogni colonna

di casa mia,
e delle case intorno.

Una strada, una piazza
un campanile al giorno,

così, a punto croce

cucio il ritorno.

Sistemo
con lo sguardo muto e attento
ogni mattone nuovo.

E’ il mio cemento.

Tiro il filo, allento…
Perché nulla sia
di plastica,
al tornare.

E i figli possano abitare.

Una città non cresce all’improvviso
come un fungo
nel bosco.

E io, come una gru,
allungo il collo,
costruisco.

Guardo, osservo,
conosco
e riconosco.

Serve ridare a tutto
col semplice passare
anima nuova.

E consumiamo il pane quotidiano

fatto di polvere
e catrame.

E’ pane da tenere stretto in seno:
riempire i nostri occhi
di quel sogno

che noi non rivedremo.

foto duomo notte

Ali Farka Touré e Toumani Diabaté -“Hawa Dolo”