RISVEGLI

Fatto reale, accaduto sotto la mia C.A.S.A.
Nacque come Nota su Facebook, e molti aquilani condivisero quello che ho scrissi.
Lo lascio qui, agli Atti…

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Signora con cane.
Sandali, piedi nudi, aria stanca, cane tranquillo.

Teo mi tira verso di lei…
I cani si annusano.
Dobbiamo farlo anche a noi.
“Benvenuta” dico io con un sorriso, vincendo l’imbarazzo.
“Grazie. Sono ancora in pieno trasloco”. Fa un cenno con la testa, a indicare un furgoncino bianco.
Due nerboruti giovanotti stanno scaricando scatoloni.
“Ce l’abbiamo fatta, finalmente, a tornare in città. O meglio, è mia madre che ce l’ha fatta, io non abitavo più all’Aquila da un sacco di tempo”.

Il cane è un barbone grigio, taglia media, buono.
“Lei invece? da quanto tempo sta qua?” mi chiede.
“Da sempre”
(Davvero ho detto da sempre? Ho detto così?)

La signora sgrana gli occhi e tira giù gli angoli della bocca. Come a dire: “Che coraggio…”.
Ma è evidente che la signora viene da fuori: è totalmente spaesata ed estranea, è in preda a uno smarrimento angosciato. “Stia pure tranquilla, signora” cerco di confortarla. “Si troverà bene qui, siamo una piccola comunità. Nessuno ha voglia di parlare con nessuno, ma parlare non serve, in questi casi, lei capisce…”.

Sembra non aver sentito. “E’ vero che ci stanno gli extracomunitari?” mi chiede poi, quasi piagnucolando. “Non lo so, signora, ma le assicuro che, se hanno la casa qui, sono più aquilani di noi: gente che lavora, manda i figli a scuola…”.
Mi squadra. Sento che mi sbircia quasi di nascosto, dalla testa ai piedi.  Probabilmente si sta chiedendo se non abbia appena fatto una gaffe, se anch’io non sia un’extracomunitaria (il che, a guardare il mio abbigliamento diciamo così selvatico quando sto sotto C.A.S.A. con Teo, è assolutamente credibile).

“Mia madre ha 89 anni” dice sospirando, dopo una lunga pausa. “Stava quasi per lasciarci, ha avuto un brutto crollo, mesi fa”. “Mi spiace” dico contrita. “No, no… poi si è ripresa. Quando le hanno detto che iniziavano a ricostruirle la casa, si è ripresa. E’ voluta tornare qui. E non c’è stato verso… Dice che vuole rientrare a casa sua. Dice che rientra a casa sua e poi muore. Rientro a casa e puoi muoio!, dice!”.

“Ma guarda”penso io “i giovani se ne vogliono andare, i vecchi vogliono tornare”.

La signora emette uno strano mugolio, poi fa un cenno con la testa a indicare una finestra al primo piano.

E così l’ho vista, dietro i vetri, la vecchietta. Dritta come un fuso, piccola e raggrinzita, gli occhi fieri e caparbi. Guardava al centro della corte, nei giardini. Guardava e non vedeva. Occhi di vecchia, rughe, dentro ci potevi leggere il passato e il futuro, la guerra e il terremoto, nessun presente, o un presente senza alcun valore, se non quello del passato e del futuro.

L’ho guardata in modo avido e indiscreto.
L’ho guardata per un tempo interminabile.
L’ho fissata intensamente, e con la pelle d’oca.
E mi è sembrata la poesia più bella del mondo. Altro che libri, altro che teatro.

Quella vecchietta è stata oggi, per me, lo spettacolo della poesia.

 

arcobaleno case

IL BISOGNO DI RICORDARE, IL BISOGNO DI DIMENTICARE

Questo scritto è stato pubblicato su L’Aquilablog il 7 aprile 2013

Tra questi due bisogni viviamo lacerati e spaccati, all’Aquila. Si sta sotto il giogo di questi due padroni che si odiano e baruffano.

Il primo, il bisogno di ricordare, ti sveglia al mattino quando sei fragile, caldo di sonno. Come un martello picchia e ti dice “IO ESISTO, RICORDAMI! NON LASCIARMI MORIRE DUE VOLTE”. Ha il volto di chi non c’è più. E dei muri dei vicoli antichi, dei selciati per giocare a campana, delle strade percorse per mano quando eri creatura.

L’altro, il bisogno di dimenticare, ti assale quando ti lavi la faccia e la sollevi allo specchio. L’acqua fredda ti grida: “DIMENTICA! VAI AVANTI O PERDI ANCHE IL POCO CHE RESTA”. Ha il volto dei ragazzi, dei giovani, delle case nuove, ha la voglia di ridere, ha l’odore dei mandorli, e i sogni di un nuovo palazzo. Odora di tintura fresca, e ha un balcone colmo di gerani che ti chiama e vuol vederti affacciato.

Scarti. E inizi la giornata chiudendo i due bisogni tiranni, ricordare e dimenticare, in un angolo della testa in cui li lasci a litigare. Lavori mangi fai la spesa ami sorridi cucini dormi perfino, con il rumore di quei due che baruffano, perennemente in lite. Uno si affaccia e ti racconta dell’Aquila bella té, poi l’altro ha il sopravvento e dice: “Vai avanti”.

Così viviamo all’Aquila, dopo quattro anni.
Dobbiamo imparare, ancora, forse è presto per dire che

“… se resto, c’è un andare nel mio restare,
se vado, c’è un restare nel mio andare”…

Gibran qui parla della casa che ti tiene legato, e della strada che ti slega.
Regalavo questa poesia ai miei studenti prima dell’esame di maturità, come viatico.

“Restare e  andarsene – spiegavo – sono la stessa cosa. Perché da lontano senti la parte di te che è rimasta, da vicino ascolti quella lontana che ti chiama”. Spiegavo questo, prima della maturità.
Non siamo maturi, noi, ancora, per capire queste scarne parole. E’ presto, ancora: aspettiamo, impariamo, lavoriamo, ricostruiamo noi stessi, prima ancora delle case e delle strade.

Prima o poi ricordare non sarà più un dolore, e dimenticare non sarà più una fuga.

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Bee Gees – Don’t Forget To Remember Me