MINIMA ANIMALIA

Per la mia generazione il rapporto di rispetto degli animali non è così scontato come è per queste nuove. I nostri genitori ci trasmettevano infatti un rapporto con gli animali piuttosto barbaro: gli animali erano sporchi, portavano malattie, non capivano, non erano dotati di sensibilità e semplicemente esistevano per servire l’uomo.

Quindi per noi il rispetto degli animali e il loro riconoscimento in quanto creature dotate di intelligenza e sensibilità è una vera e propria conquista.

Così, se un giorno ti ritrovi con un cane, ti devi improvvisare.

Il cane non ha un suo tempo, il suo tempo è quello tuo, lui vive in attesa che tu ritorni per poter vivere il suo tempo, che è quello che ha con te. Il cane ti guarda e aspetta che tu dica andiamo.
Allora piano piano ti lega, ti mette il suo guinzaglio. E ti ritrovi che ti porta a spasso.

Quando inizi a parlare con lui soltanto con gli occhi, sei in upgrade.

Ma il mondo è pieno di haters dei cani. In genere, sono quelli che hanno paura. Non rimprovero loro la paura, rimprovero loro che rompono le scatole agli altri. La loro paura viene prima.

Ma se avessero occhi, dietro quella paura, vedrebbero la poesia: qualcuno che porta a spasso un cane dal passo lento e con le occhiaie, adeguando il suo passo.

Aver vissuto una vita senza aver mai avuto un cane significa aver perso una poesia.

Non perché fate del bene al cane.
Non perché vi sentite soli.
Solo perché a lui puoi davvero dire: “per sempre”.

 

NOVEMBRE

Le iscrizioni mi piacciono, ovunque si trovino. Mi piacciono i graffiti, le scritte murarie, gli scarabocchi lasciati dai ragazzini sui vetri delle macchine, le incisioni, le iniziali – che certamente rappresentano là per là una barbarie, ma che poi col tempo acquisiscono un ruolo piacevole di testimonianza.

Che sarebbe la Casa dei gladiatori a Pompei, se le ragazze non avessero lasciato sui muri le loro scritte di ammirazione per i muscoli dei lottatori? Un fascino dimezzato. E come potremmo capire la vita quotidiana degli antichi romani, se non avessimo le scritte murarie della gente dell’epoca, per esempio le scritte elettorali?

Le iscrizioni hanno un fascino incredibile, anche quando ti fanno imbestialire perché le trovi sulla croce di ferro della Crocetta, sull’eremo più sperduto, perfino se vai in Tibet – sono certa che in cima ci trovi la scritta di qualcuno che ci è passato prima di te e che ha voluto lasciare un segno.

“Un segno”, ecco. In realtà le iscrizioni hanno il fascino di tutti i segni che aspettano di essere letti. Dicono: Io esisto, e sono passato di qua.

Per fortuna adesso esistono i selfie, quindi i muri si sporcano molto meno. Un selfie non devi neanche lasciarlo là, te lo porti dietro, non sporca e non inquina. Quando non c’erano i selfie la gente scriveva sui sassi, li rubava perfino. Si portavano via i sassi del Colosseo, le tessere dei mosaici, i mattoni delle case.

Ma che fascino avevano, però, e che fascino hanno tuttora le iscrizioni!

Mi piacciono tantissimo perfino le scritte sulle lapidi.

Ce n’è una che mi piace tanto, dal lato Acquasanta: “FORSE CI INCONTREREMO ANCORA, UN GIORNO, NEL BEL MEZZO DELL’UNICA FESTA CHE NON PUO’ FINIRE”. Stop. Non c’è un nome, non c’è una data. Però ci vedi la bell’Epoque, una coppia, e feste da ballo, vestiti eleganti, champagne a fiumi. Il potere di una scritta su un sasso.

Vicino a quel sasso, un paio di anni fa ho incontrato un ragazzo che con accento toscano mi fa: “Oh la mi schusi Signora, sa micha dov’è messo Magnotta?“. Mi metto a ridere, lui ride con me, non ci crederete, ci abbracciamo come due fratelli.

Mi spiega che sta accompagnando la sua ragazza, aquilana che studia a Siena. Mi spiega che sa tutto di Magnotta. Mi spiega che giacché stava lì, ad accompagnare la ragazza che era tornata per il ponte dei Morti, voleva andare a vedere se era vero che c’erano dei pezzi di lavatrice portati lì dai ragazzi.

Mi metto a ridere, gli dico di no, mai visti. E poi ce lo accompagno.

Gli spiego che le lavatrici in posti del genere non sono ammesse, ma che sono contenta che qualcuno che non è di qui lo vada a trovare. Spero solo che non si faccia un selfie macabro.
Ma non sono certa che non se lo sia fatto dopo che me ne sono andata.

Salutandolo gli dico: “Laggiù c’è Libero! Lo conosci Libero?”. Mi dice di no, mai sentito nominare.

Faccio spallucce e bisbiglio tra me, aprendomi a un sorriso: “Davvero non conosci Libero? …. Che mondo!