SHIT!

Abbiamo tutti una certa pratica di stronzi, perché di stronzi è pieno il mondo. Chi non ne ha intorno? Tutti! E al contempo siamo tutti lo stronzo di qualcun altro. A questo non ci avevate pensato, eh, confessatelo. Epperò ci sono quelli veri, e quelli per modo di dire, dunque l’argomento è complesso.

Io sono laureata in stronzologia.

Lo stronzo nutre nei miei confronti un particolare tipo di attrattiva e di attaccamento.

Diciamo pure che io attiro gli stronzi come una calamita attira il ferro.
La mia faccia ingenua gli piace parecchio. La mia espressione costantemente difensiva mi fa apparire fragile, vulnerabile, manipolabile, anche se in realtà non lo sono. E lo stronzo è miope,  si ferma sempre alle apparenze.
Diciamo pure, per onestà, che io lo stronzo NON lo evito, anzi lo sfido, me lo vado a cercare, e su questo ci sarebbe molto da dire.

Anyway, la prima regola, caro il mio lettore, è questa: fidati di quello che lo stronzo ti dice all’inizio, perché è prassi comune che egli si dichiari. Appena lo conosci, lui dice “Guarda che io sono stronzo”. Non lo fa per te, lo fa per sé, sa benissimo che potrà sempre dirti che te l’aveva detto sin dall’inizio. Ma tu – che stronzo non sei – fatichi parecchio a credergli, proprio per il fatto che te lo dice. La prendi come una battuta, un motto di spirito: invece ti sta dicendo la verità. È uno stronzo! Poi le cose vanno avanti: collega amico o parente che sia, quando lo stronzo dopo un po’ inizierà a fare lo stronzo sul serio, non lo dirà mai più! Lo sarà e basta.

Ma sarà… che cosa? Beh lo sappiamo tutti, lo stronzo non ha altro Dio al di fuori del suo io: esiste solo lui. È incapace di ascolto, incapace di qualsiasi tipo di scambio, prende tanto, dà poco o nulla, si ama fino al disgusto. Non fa differenza che tu ci sia, tu sei assolutamente sostituibile, non c’è nulla di tuo che sia singolare e speciale per lui. Ama ciò che prende, non chi glielo dà. E di ciò che prende fa un leit motive, la sua unica compagna di vita, i nomi cambiano, si dimenticano, quello che importa è che la costante “k” sia davvero costante: energia, denaro, amore, lavoro, sesso, qualsiasi cosa, ma è una cosa. Non è mai una persona.

Incapace di uscire da sé, chiuso nel suo piccolo grande mondo, lo stronzo non saprà mai che cos’è il perdersi in un universo completamente diverso dal suo, non saprà mai che cos’è un viaggio in un pianeta inesplorato, rischioso, un viaggio da cui potrebbe anche non tornare mai più. Come il pesciolino nella boccia, non vede altro che il suo piccolo mare. Eppure, pateticamente, si dichiara un grande marinaio, ha un’immagine di sé GRANDIOSA, da cui tu vieni letteralmente risucchiata, solo perché ti piacciono le storie, le narrazioni, le fantasie.

Finché un giorno, dai e dai, il velo si squarcia, vedi l’omino del Mago di Oz, vedi lo scenario di cartone del Truman Show, e scendi dalla giostra.

Non devi restarci male: il tempo che hai investito, l’energia che ci hai messo, per te sono Vita, e nulla andrà sprecato, ti hanno reso migliore.

In Oriente si pensa che le sofferenze rendano belli. Pensa quanto sei bell@. Sì, sei una meraviglia, ogni frattura oro colato, un kintsugi.

Perciò, caro lettore, ogni giorno della tua vita, ringrazia di avere incontrato l@ stronz@ di turno, e prega Dio che non ci sia giorno in cui non ne incontri un@: potrai apprezzare chi sa vederti e sceglie di perdersi, e di dimenticarsi.

Ci sono pesci convinti di nuotare nel mare, e invece nuotano nello scarico dove alla fine tutti li buttano. Tirando subito l’acqua.

CARO COMMISSARIO…

Comunemente si dice che gli Esami di Stato
sono un incubo per gli studenti.

Ma un poco lo sono anche per i docenti.
Nonostante l’età e l’esperienza,
o forse proprio per questo,
i docenti che hanno preparato la classe sono lì,
col cuore che batte.

Nell’immaginario collettivo, l’Esame di Stato è qualcosa che ti segna per sempre, una sorta di rito tribale in cui i ministri sono i commissari “interni” ed “esterni”, e tutti pensano che gli “interni” siano preoccupati per gli studenti deboli, che sono arrivati fin lì per grazia ricevuta.

Ebbene, non è così.

Il Commissario Interno non è agitato per quelli meno bravi, perché i meno bravi sono gli specialisti del “rush” finale. Sono quelli che con sapienza hanno esercitato la loro intelligenza nei cinque lunghi anni di liceo per sviluppare un’unica abilità: raggiungere il massimo risultato col minimo sforzo. Si presenteranno al colloquio carichi, pimpanti, e conteranno sui Commissari Esterni per riscattarsi: in loro cercheranno una nuova identità, alla faccia degli interni, che non potranno che rosicare. La brillante performance del colloquio sarà la loro migliore interpretazione, e saranno bravi, bravi come li avevi sempre sognati.  Sapranno esporre la tecnica del labor limae, ma qualcuno di loro dirà “labor LAIM”, senza che nessuno se ne accorga, così manifestando una certa pratica di cocktail, piuttosto che della lingua Latina. O parleranno di Marziale, e della figura del cliens, chiamandolo però “CLAIENS”, così dimostrando che un host ha più valore di un libro di latino. Però si dirà: “via, bisogna capire, si tratta di nativi digitali… bisogna valutare la performance!”

Ecco perché il Commissario Interno non si preoccupa per questi. E’ impensierito, invece, per tutti coloro che in cinque anni ce l’hanno sempre messa tutta, i “bravi”, o per quelli che proprio bravi non sono, ma che lentamente si sono emancipati da una condizione di minorità, riducendo il gap sociale.

Questi arriveranno all’Esame esausti, sfiniti al punto da rischiare un corto circuito che li porterà forse a non brillare, o forse a dire una cavolata, così, per un improvviso upload involontario, una maligna interferenza della memoria. Arriveranno alle prove senza cartuccera, senza auricolari stile “Club degli imperatori”: e soli, perché sono sempre stati soli.

Ecco perché ti chiederai se “gli esterni” si fideranno di te e di quello che dirai quando tenterai di difendere la ragazza bravissima che però all’improvviso balbetta, o il ragazzo che è partito da meno di zero… ma oggi (toh!) non si ricorda quando è nato Manzoni, o sbaglia una formula, o gli scappa di bocca una cavolata.

Nessuna pietà neanche per te, ragazzino problematico e introverso. O per te, bravo ragazzo con la camicia delle grandi occasioni, che non segui la moda, che riesci ad attribuire ancora tanto valore alla scuola perché per te è motivo di riscatto. Magari sei italiano di prima generazione, hai un cognome pieno di h e di xyz, ma non sai neanche più dire buongiorno nella lingua di tua madre, perché tua madre con orgoglio ha voluto che tu la dimenticassi, affinché fossi più italiano dei ragazzi italiani che la lingua italiana non la conoscono bene quanto te. Tu con la tua bella scrittura. Con i tuoi quaderni ordinati e puliti a fronte di quelli zozzi e spiegazzati degli altri che ti danno del retorico e dello sdolcinato. Tu, ragazzo italiano di prima generazione che sai dare un valore al tuo nuovo Paese, e a uno Stato a cui guardi con gratitudine e che per te rappresenta un valore conquistato, per nulla scontato come lo è per tutti gli altri ragazzi.

L’esame è l’esame! Deve insegnare che così è la vita! gli diranno, incastrati nel ruolo.
La vita è uno schifo
, penseranno di contro loro, sconfitti prima ancora di iniziare la partita. E lasceranno il campo a quelli furbi e brillanti, perché la lezione appresa sarà: non c’è partita.

Ecco. Ecco perché sei agitato per questi esami, caro commissario interno.

A volte, però, accade che Dio getta i dadi.

Accade che sette persone finiscano insieme a lavorare con fiducia. E che ognuno ci metta dentro tutto il bello che ha. Accade che si crei un clima di collaborazione, interamente concentrato su tutti quei ragazzi, i più bravi e i meno bravi, i furbetti e gli onesti.
Accade che sette persone, sinergicamente, siano capaci di creare, di ascoltare e di vedere, di valorizzare. Accade che si sorrida. Che ci sia un clima di fiducia. Che non si umili nessuno. E che davvero pochi vadano via con la convinzione di essere stati trattati ingiustamente.

A volte accade, insomma, che si faccia un buon lavoro.

BRAVI TUTTI.

 

Grazie a Dino, a Francesco, a Marco e Nives (in rigoroso ordine alfabetico!)

Grandissimi.