SE PROPRIO DEVI PREGARE…

*Da Idea di Thomas More
a cura di Angelo Paredi, Marialisa Bertagnoni e Cesare Grampa,
Neri pozza editore, Vicenza 1978 pp. 141-142 e p. 118.
La versione italiana della preghiera è di Marialisa Bertagnoni;
quella dell’aforisma è di Luigi Firpo.

Donami la tua grazia, Signore
perché io non dia alcun valore alle cose del mondo
e fissi solo in te il mio pensiero
senza dare ascolto alle mutevoli voci degli uomini;
perché sia contento della mia solitudine
e non desideri compagnie terrene;
perché a poco a poco mi stacchi completamente dal mondo
e dalle cure del sciolga ogni mio pensiero;
perché non desideri alcuna notizia dal mondo
e le fantasie del mondo non valgano a darmi diletto;
perché pensi a Dio con letizia;
perché con dolore chieda il suo aiuto;
perché cerchi in Dio il mio conforto e il mio appoggio
perché tutti i miei sforzi siano rivolti ad amarlo.
Perché riconosca la mia pochezza e meschinità
e docilmente mi umìli sotto la potente mano di Dio;
perché mi dolga dei peccati commessi
e, per espiarli, accolga docilmente le avversità;
perché goda di soffrire qui il mio Purgatorio
contento nelle afflizioni.
Perché proceda per la via stretta che conduce alla vita;
perché porti la croce con Cristo;
perché non sia dimentico delle cose supreme
e tenga sempre dinanzi agli occhi la mia morte
che è sempre lì a lato;
perché pensi alla morte con familiarità;
perché abbia dinanzi agli occhi e alla mente l’eterno fuoco dell’Inferno;
perché preghi per il perdono prima che venga il Giudice;
perché pensi incessantemente alla Passione che Cristo ha sofferto per me;
perché incessantemente lo ringrazi dei suoi benefici.
Perché riguadagni il tempo perduto
e mi astenga da chiacchiere vane
e rifugga da futili risa e da sciocche allegrezze.
Gli svaghi non necessari – me ne strappi per sempre.
Le ricchezze terrene, gli amici, la libertà, la vita, tutto
ne stimi un nulla la perdita quando il guadagno sia Cristo.
Perché pensi che i miei maggiori nemici sono i miei amici migliori;
i fratelli di Giuseppe non avrebbero potuto fargli con l’amore e la bontà un bene
tanto grande quanto quello che gli fecero con l’ostilità e con l’invidia.

La maggior parte della gente si esalta per una vana rinomanza e, leggera com’è, si lascia portare alle stelle da un vento leggero. Perché ti compiaci della notorietà tra il volgo? Cieco com’è, spesso trova da ridire sulle qualità più belle ed elogia a casaccio le peggiori. Sei sempre lì in ansia a pendere dal labbro altrui, perché un rivendugliolo che ti ha dato lode non te la ritolga. Ma forse si fa beffe di te quello che col suo elogio ti ha fatto insuperbire; e anche se è sincero, quella sua lode è fugace. Che te ne fai della rinomanza? Metti pure che il mondo intero ti esalti: se hai male a una giuntura che te ne fai della rinomanza?
Beati quelli che sanno ridere di se stessi,
perché non finiranno mai di divertirsi.
Beati quelli che sanno distinguere una montagna da un ciottolo,
perché eviteranno molti fastidi.
Beati quelli che sanno riposare e dormire senza trovare scuse:
diventeranno saggi.
Beati quelli che sanno ascoltare e tacere:
impareranno cose nuove.
Beati quelli che sono abbastanza intelligenti per non prendersi sul serio:
saranno apprezzati dai loro vicini.
Beati quelli che sono attenti alle esigenze degli altri, senza sentirsi indispensabili:
saranno dispensatori di gioia.
Beati sarete voi se saprete guardare seriamente le cose piccole e tranquillamente le cose importanti:
andrete lontano nella vita.
Beati voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà pieno di sole.
Beati voi se saprete interpretare sempre con benevolenza gli atteggiamenti degli altri, anche contro le apparenze:
sarete presi per ingenui, ma questo è il prezzo della Carità.
Beati quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare:
eviteranno tante stupidaggini.
Beati soprattutto voi che saprete riconoscere il Signore in tutti coloro che vi incontrano:
avrete trovato la vera luce e la vera sapienza.

Meditazione scritta da Sir Thomas More, Cavaliere, prigioniero nella Torre di Londra, nell’anno del Signore 1534.

Concedimi, o Signore, la grazia di disprezzare le cose del mondo.
Di rivolgere solo a Te i miei pensieri.
Di non dipendere dal frastuono delle bocche degli uomini.

Di essere contento della solitudine.
Di non desiderare compagnie terrene.
Di sottrarmi poco a poco al mondo, così che la mia mente possa liberarsi della sua  concitazione.
Di non desiderare di ascoltare frivolezze.
Che le fantasie del mondo possano suonare
sgradite al mio orecchio.

Di pensare a Dio con letizia.
Di invocarne l’aiuto misericordioso.
Di abbandonarmi al conforto di Dio.
Di amarlo incessantemente.

Di riconoscere la mia viltà e la mia miseria.
Di umiliarmi, arrendevole, alla potente mano di Dio.
Di pentirmi dei peccati commessi, sì da sopportare paziente le avversità per la loro remissione.

Di sopportare qui il mio Purgatorio.
Di gioire nelle tribolazioni.
Di attraversare gli angusti sentieri che conducono alla vita.
Di portare la croce con Cristo.
Di ricordare le cose supreme.
Di avere sempre davanti agli occhi la mia morte, che mi è sempre vicina.

Di non ritenere la morte a me estranea.
Di meditare sempre sulle fiamme eterne [dell’Inferno
Di invocare il perdono di Dio prima che venga[emessa la sentenza.
Di avere sempre in mente la passione che Cristo patì per me.
Di essergli incessantemente grato dei suoi benefici.
Di riscattare il tempo perduto.
Di astenermi dalle vane ciance.
Di rifuggire dai divertimenti sciocchi.
Di astenermi dagli svaghi inutili.
Di considerare nulle le perdite delle sostanze, degli amici, della libertà, di tutto, per la vittoria di Cristo.
Di considerare i miei più accaniti nemici come i [miei migliori amici.

Perché i fratelli di Giuseppe non avrebbero [potuto mai fargli bene maggiore,
con il loro amore ed il loro affetto, di quello [che gli fecero con il loro odio
e la loro malizia.
Queste meditazioni dovrebbero essere ritenute più preziose di tutti i tesori di tutti i
principi e re cristiani e pagani, ammucchiati l’uno sull’altro.

Preghiera che Sir Thomas More, Cavaliere, scrisse dopo la condanna a morte, e prima dell’esecuzione, il giovedì 1 Luglio dell’anno del Signore 1535, ventisettesimo del regno di re Enrico VIII. La decapitazione avvenne nella Torre il martedì successivo.

Pater noster, Ave Maria, Credo
O Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone uguali e coeterne, in un solo Dio Onnipotente, abbi misericordia di questo vile, abietto e miserando peccatore che umile riconosce davanti alla tua sovrana maestà la sua lunga vita peccaminosa, dai giorni della fanciullezza fino ad ora.

Nell’infanzia, per questo, quello, etc. Dopo l’infanzia, per questo e quest’altro, etc.; dopo l’infanzia per questo e quello ancora, etc. E così anche nelle età successive.

Signore buono e misericordioso, ora che mi hai concesso la grazia di riconoscere i miei peccati, concedimi la forza di pentirmene, non a parole, ma amaramente, così che, contrito, me ne liberi del tutto. Perdona inoltre i peccati commessi per mia colpa, per cattivi sentimenti ed atteggiamenti, o perché la ragione era così offuscata dal miei sensi che non sono stato in grado di riconoscerli per peccati.

Illumina, Signore, il mio cuore. Concedimi la grazia di riconoscere ed ammettere i miei peccati. Perdonami quelli dimenticati per negligenza, e richiamali alla mia mente, così che possa confessarli.

Dio glorioso, concedimi da ora in poi la grazia di non attribuire valore al mondo, ma di indirizzare il mio cuore permanentemente a Te, così che io possa dire con S. Paolo: Mundus mihi crucifixus est, et ego mundo. Mihi vivere Christus est, et mori luchrum. Cupio dissolvi et esse cum Christo.
Dammi la grazia di emendare la mia vita, e di assistere alla mia fine senza paura della morte, che per quelli che muoiono nel Signore è la porta che conduce alla vita beata.

Dio Onnipotente, doce me facere voluntatem tuam. Fac me currere in odore unguentorum tuorum. Apprehende manum meam dexteram, et deduc me in via recta propter inimicos meos.

Trahe me post te. In chamo et freno maxillas meas costringe, quum non approximo ad te.

Dio glorioso, allontana da me ogni paura peccaminosa, ogni pensiero e dolore peccaminoso, ogni speranza peccaminosa, ogni allegria o divertimento impuri. Ma concedimi, invece, quei dolori, quelle miserie, quel conforto, quella consolazione e quella gioia che possono giovare alla mia anima. Fac mecum secundum magnam bonitatem tuam domine.

Concedimi la grazia, mio buon Signore, nella paura e nell’agonia, di ricorrere a quella grande paura e immensa agonia, che tu, mio dolce salvatore, affrontasti sul monte Uliveto, prima della tua amara passione, così che, meditandole, io possa sentire il divino conforto e la consolazione salutari per la mia anima.

Dio Onnipotente, allontana da me i pensieri di vanagloria, i desideri di lode, l’invidia, la lussuria, la gola, l’accidia, l’ira, il sentimento della vendetta, il piacere di fare male al prossimo, il piacere di suscitare negli altri la rabbia o la collera, il piacere di insultare o rimproverare i nostri simili quando questi sono afflitti o derelitti.

E ispirami, mio buon Signore, sentimenti di pace, di carità, di gentilezza, di tenerezza e di solidarietà; fa sì che le mie parole, le mie opere ed i miei pensieri rechino sempre il sapore del tuo spirito beato.

Che la mia fede, mio buon Signore, sia totale, la mia speranza salda, la mia carità fervida, il mio amore per Dio incommensurabilmente più profondo dell’amor proprio; e che non ami niente che possa dispiacerti, ma tutto quello che si conforma al tuo volere.

Concedimi, o mio buon Signore, che il mio desiderio di essere con te sia sempre ardente, non tanto per evitare le calamità di questo mondo; né solo per evitare le pene del Purgatorio, o quelle dell’Inferno; né per conquistare le gioie del cielo, per il mio vantaggio; ma solo per amor tuo.

E concedimi, mio buon Signore, il tuo amore e la tua benevolenza, perché il mio amore per te, per quanto grande non potrebbe mai guadagnarmi se non per la tua grande misericordia.

E perdona, mio buon Signore, che un peccatore miserabile come me, non degno nemmeno di vedere esaudite le richieste più umili, osi formularne di così ambiziose. Ma sono richieste che devo formulare, e che potrei sperare di vedere anche esaudite, se non fossero ostacolate dai miei tanti peccati. Dei quali, o gloriosa Trinità ti prego di purificarmi con quel sacro sangue che sgorgò dal tuo corpo delicato (o dolce Cristo salvatore) negli infiniti strazi della tua amarissima passione.

Liberami, mio buon Signore, da questo tiepido, gelido, modo di meditare, e da questo greve modo di pregare. Concedi calore, gioia ed entusiasmo al mio pensiero di te; dammi la grazia di desiderare intensamente i tuoi santi sacramenti, e di gioire della presenza del tuo sangue preziosissimo (dolce Cristo salvatore, nel santo sacramento dell’altare) e di ringraziarti debitamente per la tua misericordiosa visitazione, e di ricordare e meditare in quel momento con palpitante tenerezza la tua amara passione.

Fa sì, mio buon Signore, che oggi partecipiamo virtualmente a quel santo sacramento, e fa ogni giorno di noi tutti, o dolce Cristo salvatore, membra vitali del tuo corpo mistico, la tua chiesa cattolica.

Dignare domine die isto sine peccato nos custodire.
Miserere nostri domine, miserere nostri.

Psal. 122 Fiat misericordia tua domine super nos.

Psal. 39 quemadmodum speravimus in te.

Psal. 30 In te domine speravi, non confundar in aeternum.

Ora pro nobis sancta dei genitrix Ut digni efficiantur

Promissionibus Christi

*Da Idea di Thomas More, a cura di Angelo Paredi, Marialisa Bertagnoni e Cesare Grampa, Neri pozza editore, Vicenza 1978 pp. 141-142 e p. 118. La versione italiana della preghiera è di Marialisa Bertagnoni; quella dell’aforisma è di Luigi Firpo.

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