QUANDO VOLAVANO I PIATTI

Sulla fiera della Befana è stato già scritto tutto. Perciò condividerò con voi qualcosa di molto personale. Lo ammetto senza remore: io subisco il potere fascinatorio degli imbonitori che vendono i piatti.

I primi che io ricordi si mettevano a piedi piazza, davanti al palazzo delle Poste e Telegrafi, dove lavorava mio padre. Quella strabiliante abilità nel lanciare i piatti davanti ai compratori, in realtà, è venuta meno nel tempo, e oggi non è bello com’era in antico, quando i piatti volavano, ammonticchiandosi uno sull’altro, in ordine sfalsato, fino a formare una torre tremolante di un servizio da dodici tutto colorato. Capitava che ogni tanto si rompesse qualche pezzo, ma l’imbonitore, senza scomporsi, cambiava servizio e ricominciava l’asta: “E vi ci metto sopra la zuppiera! e vi ci metto pure le tazzine!… E mi voglio rovinare… vi ci aggiungo pure il piatto da portata!… Aggiudicato a quel signore!”.

Di quel servizio, nel corso dell’anno, si rompeva sempre qualche pezzo, e spesso a San Silvestro gli si faceva fare un altro tipo di volo: fuori dalla finestra, per ricomprarne uno nuovo dopo cinque giorni, alla fiera della befana. La mattina di Capodanno vedevi allora sulla strada cocci su cocci, una barbarie che aveva il valore simbolico di fare spazio alla roba nuova, buttando via quella rimasta spaiata.

Oggi puoi ancora trovare gli imbonitori dei piatti nelle fiere, o nelle televendite sulle reti commerciali dedicate, ma non troverai mai più lo spettacolo dei piatti che volano. Nelle televendite, più che i piatti, trovi stracci magici, sbucciapatate, affettatrici, spremiagrumi: tutti attrezzi che nelle mani degli imbonitori appaiono miracolosi tanto quanto nelle vostre saranno aggeggi infernali. Ma il potere ipnotico dell’imbonitore è ancora integro, con i piatti e senza piatti: statistiche alla mano, sembra che chi soffre di insonnia trascorra una buona parte della notte a guardare le televendite, e quello che prima era un rito collettivo, festoso e apotropaico, è diventato un piacere onanistico, notturno e solitario.

A questo punto vi starete chiedendo che c’è di personale in tutto questo.

Ebbene, c’è che ogni giorno, quando io svuoto la lavastoviglie, tiro fuori i piatti e li sbatto ad uno ad uno sul piano della cucina, facendo lo stesso identico rumore che facevano gli imbonitori. E quel rumore mi piace, mi dà una gioia intima e profonda. Sarà l’acciottolìo di cui parla Gozzano nella Signorina Felicita, quando Maddalena tira via le stoviglie? O non sarà piuttosto la sensazione provata davanti allo spettacolo dell’imbonitore della bancarella dei piatti sotto al Palazzo delle Poste e Telegrafi? Non so rispondere a questa domanda, ma quello che so è che svuotare la lavastoviglie, uno dei lavori domestici più noiosi, finisce per farmi sorridere, mi dà allegria, e il suono dei piatti che sbattono uno sull’altro mi coccola e mi accompagna per il resto della giornata.

Beh, a casa si lamentano parecchio, in verità: “Può essere che devi fare quel casino quando svuoti la lavastoviglie?”.

Eeeeh quante storie! – dico tra me – tappatevi le orecchie!
E continuo a sbattere i piatti, con gusto e precisione.

E se ne rompo qualcuno, pazienza.
I piatti in cui si mangia devono fare il loro ciclo.
E bisogna fare spazio, per far entrare i colori nuovi.

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