ERAVAMO IN SERIE B

Le foto in bianco e nero hanno ancora il loro fascino. Anzi, adesso che le passi in digitale, puoi perfino ingrandire col touch, o zoomare sui particolari.
In questa foto, per esempio, puoi farlo con i baffi alla Tom Selleck di Franco, o col sorriso di Annamaria, con i capelli rossi di Patrizia, con quelli lunghissimi di Antonella, con il caschetto di Stefania alla Buddy Lawrence. O con le mie trecce.
Questa foto me l’ha mandata alcuni anni fa Rita, la Capitana, quella vicina a me nella foto.
Il CUS L’Aquila – Pallavolo femminile – stava in Serie B. E qualcosa merita di essere raccontato.
Per esempio, che ci allenavamo nella palestra dell’ITIS, attuale sede della Direzione del GSSI, una palestra dalle volte altissime, o almeno io così me la ricordo. Il doping non esisteva, non esisteva neanche la cura maniacale dell’alimentazione e del corpo. Si faceva a mala pena riscaldamento, poi si cominciava subito con la palla. Niente palestra. E nelle squadre c’era posto per tutti. Io, più dotata nelle questioni intellettuali, non ero proprio fortissima, ma avevo il merito di essere  affidabile. Dove non arrivavo, mi coprivano le compagne più forti. Funzionava così. Erano tempi in cui non importava tanto il talento dei singoli, importava la squadra, e la squadra noi ce l’avevamo. Quelle fortissime all’attacco, quelle fortissime in difesa, quelle fortissime a fare supporto. E arrivammo in serie B.
Lo sport non era come adesso. Le partite che giocavamo in casa erano una festa, con un tifo sfegatato di ragazzi e ammiratori che ci mettevano l’anima. Adulti non ce n’erano, genitori  men che meno. Le trasferte le viaggiavamo con un pulmino tutto scassato. Accadevano cose oggi impensabili, tipo che una volta andammo in un paesino della provincia noto per avere “il coltello facile”, e si giocava con un certo nervosismo. Vincemmo, ma quando ripartimmo ci presero il pulmino a sassate. Cose da non credere.
E mi ricordo di un altro paesino in cui la palestra era stretta stretta, sul punto di battuta c’erano degli scalini, e su questi scalini si appollaiavano i ragazzi del posto, amici e parenti delle nostre avversarie, In pratica, al momento di battere il servizio, il loro naso era pressoché vicino al nostro sedere! Cose oggi impensabili.
E delle canzonacce che cantavamo sul pullman al rientro dalle trasferte… ne vogliamo parlare? Cari miei, quante risate. Una volta giocammo a San Giovanni Rotondo… ma questa è meglio che non ve la racconti, le mie compagne stanno già ridendo.
Quelle compagne me le ricordo tutte, e quando ci incontriamo è sempre una festa: baci e abbracci che non si sa.  Non sono una nostalgica dei bei tempi andati. Non si stava bene a quell’epoca, oggi sicuramente ci sono grandi conquiste dal punto di vista del rispetto e della sportività. Si era più spartani, più ruspanti, ma c’era posto per tutti, nonostante i livelli fossero alti .
Oggi i nostri ragazzi vivono in una competizione sfrenata: spesso lo sport è peggio della scuola, perché la scuola ha perso completamente la sua funzione di riscatto sociale. Ai ragazzi oggi non importano tanto i risultati scolastici, interessano molto di più quelli sportivi, perché nello sport metti in gioco il tuo prestigio, la tua credibilità, quella che i ragazzi chiamano “popolarità”.
Oggi succede che i ragazzini competono tra di loro, invece che con gli avversari, perdendo di vista l’aspetto ludico, il senso di appartenenza, e la squadra. E questo succede anche a livelli bassissimi.
Noi, invece, eravamo in serie B.

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