PIU’ FORTI DEL TERREMOTO

Questo articolo è stato pubblicato
dal giornale nazionale della Gilda degli insegnanti
nell’Aprile del 2011.
Racconta il modo in cui gli insegnanti aquilani hanno vissuto l’immediato dopo-sisma.

Aprile, il più crudele dei mesi, all’Aquila è più crudele che altrove.
Due anni dopo il sisma del 6 aprile 2009, abbiamo forse la lucidità per raccontare le cose con una certa distanza, senza retorica da adrenalina e senza il dolore della ferita che sanguina. E raccontare ciò che è stato ci riempie di orgoglio: la scuola aquilana si è fatta pilastro, colonna, protezione civile.
Ha militato nelle tende, nelle scuole della costa, ha ricreato comunità, ha concluso l’anno scolastico regolarmente, col dolore della morte di alunni e colleghi scritto sulla faccia, in un grande esempio di civiltà e di capacità di reazione.
L’umile lavoro dei docenti è diventato “servizio” in senso ben diverso dal solito, senza gli onori della cronaca riservati ad altre categorie e senza la possibilità di smentire l’immagine di un’Aquila “meridionale e piagnona” che pretendeva assistenza negli alberghi. Gli insegnanti aquilani hanno riaggregato i ragazzi dovunque si trovassero, dando fondo a tutta la loro forza d’animo. Splendida, sì, l’organizzazione dei C.O.M. (Centri Operativi Misti) e dell’Ufficio Scolastico, bisogna dirlo, ma chi ha militato in prima linea senza casa, senza vestiti né libri, senza città, nella mortificazione di una città che non era la propria città, di una scuola che non era la propria scuola, sono stati gli insegnanti.
Gli sfollati aquilani hanno inserito i propri ragazzi nelle scuole ospitanti, per lo più città della costa abruzzese. Si girava, in quel periodo, a cercarsi l’un l’altro, si vagava nelle classi a cercare le nostre facce spaurite. Spesso i Dirigenti locali hanno ricreato piccole classi di alunni aquilani, dove docenti aquilani tenevano insieme i pezzi di una comunità in diaspora. Chi ha scelto di non allontanarsi dalla città ha fatto servizio nelle tendopoli: le maestre hanno allestito laboratori semplicemente mettendo in circolo bambini, e con forbici e scatole di cartone, costruendo, disegnando mattoni, muri, case, in una istintiva, commovente compensazione immaginaria della terribile distruzione. I docenti delle scuole medie hanno portato libri, quando li avevano, per far ascoltare, leggere, scrivere, condividere, spolmonandosi, sbracciandosi. I colleghi degli istituti superiori hanno richiamato i ragazzi grandi alle loro responsabilità, tenendoli inchiodati ai loro compiti, dirigendoli verso l’Esame di Stato, verso la vita futura, continuando a parlar loro di tappe, di organizzazione, di vita, per superare il disorientamento e lo sbandamento. La scuola aquilana ha tenuto insieme le famiglie ovunque si trovassero, ha sostenuto grandi e piccoli, ravvivando in loro l’amore per la città ferita, il senso di appartenenza al territorio dei padri, e richiamando in modo energico all’accettazione di quanto accaduto e al suo equilibrato superamento. Anche durante l’anno scolastico successivo al sisma i docenti delle scuole aquilane di ogni ordine e grado hanno attivato fondamentali progetti di sostegno, come solo gli insegnanti sanno fare: con una delicata e incisiva arte maieutica hanno “impegnato” i ragazzi nel quotidiano, insegnando loro che dopo un disastro del genere si reagisce ’ngrufando, come si dice all’Aquila con espressione rugbystica, cioè restando testardamente al proprio posto, al proprio banco, al proprio dovere, nella mischia, ovunque sia la mischia, anche lontano dalla propria città, insegnando ad inserirsi silenziosamente e attivamente, restando legati alla memoria e alla storia.

E’ qui che emerge, in tutto il suo splendore, il valore della scuola pubblica: LA SCUOLA PUBBLICA RESTA. Non scompare con disinvoltura per seguire il flusso del denaro e ricomparire due anni dopo, “a cose fatte”, a comunità ricreata, a vita più o meno apparentemente ricominciata. La scuola pubblica assiste ai disastri, similmente alla protezione civile, ci mette del suo, in termini di energie, di responsabilità, di amore per il proprio lavoro, di buona volontà.
Gli insegnanti aquilani, così poco celebrati, per nulla saliti agli onori della cronaca, come invece è toccato ai politici, agli imprenditori, ai giornalisti, perfino ai parroci, hanno militato in silenzio ed umiltà, come hanno fatto anche i medici, gli infermieri, i Vigili del Fuoco.
Categorie “socialmente utili” di cui nessuno si ricorda, se non con un “bravo” subito dimenticato, magari sotteso a un risolino di compatimento: ciò che fanno è considerato dovuto, sono “pagati per questo”. Ciò che gli insegnanti aquilani hanno speso in termini di energia emotiva, di passione, di forza d’animo, è stato fondamentale per la città ferita.
Davanti alle disgrazie gli insegnanti ci sono sempre, lo considerano un dovere morale senza aver fatto giuramenti, senza alcuna iscrizione ad Albi professionali, senza alcun codice deontologico se non quello che sanno darsi da soli, vivendo nelle scuole, che non sono e non saranno mai “aziende”, ma fucine di formazione dove si scambiano pensieri, emozioni ed esperienze, magari ci si confronta con valori diversi, nell’obiettivo di formare adulti consapevoli, che effettueranno scelte consapevoli. Quale prezzo hanno queste doti, messe in campo anche quando si è colpiti in prima persona? La scuola pubblica non si imbosca, lega il passato al futuro, lavora sul territorio e sulla memoria storica, educa al rispetto dei padri e dei padri altrui, coltiva valori collettivi che una società civile dovrebbe imporsi di preservare. Essa ripudia il motto “me ne frego”, e sposa quello di Don Milani, “mi preoccupo”. Le scuole pubbliche italiane si parlano e si confortano: all’Aquila è stata una pioggia di gemellaggi, di raccolte di fondi realizzate da altre scuole di tutta Italia, da Siracusa a Legnano. In una gara di solidarietà, la scuola aquilana ha avuto il conforto di tanti colleghi lontani, di tanti studenti che hanno mandato anche i loro pensieri, i loro scritti, utili a chi li ha spediti tanto quanto a chi li ha ricevuti. Il messaggio sottile è che lo Stato deve esserci, che nello Stato in cui si sceglie di crescere e di convivere bisogna identificarsi, superando settarie divisioni geografiche, etniche e timocratiche.
E’ così che i ragazzi apprendono cosa sia il valore più importante per l’umanità: la solidarietà senza limiti di razza, censo e religione. “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”. Valori trasversali, valori che nel in un periodo così pericolosamente pervaso da fanatismi settari si ha il dovere di preservare e tramandare. Valori che non producono guadagno, non sono facili da digerire e sono impopolari. Come il Latino.

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