L’ESAME

Questo racconto risale a molto tempo prima del terremoto, ma è stato riproposto nel giugno 2013 su un giornale on-line, nel periodo degli Esami di Stato.

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Entri.
Respiro profondo.
Annusa… Lo riconosci quest’odore?
E’ polvere, è marmo, è carta vecchia.
Sono tutti uguali, i corridoi degli Atenei: hanno pavimenti lisci, muri bianchi, bacheche piene di fogli come multe sul parabrezza. A vent’anni tutto questo per te significa angoscia, sopravvivenza, violenza, gente che ti bracca, smorfia di vecchi maestri che ti ringhiano addosso.

Ma ho più del  doppio degli anni di allora, “ora”.

 Hai più del doppio di quegli anni e non torneresti indietro per niente al mondo, perché tutto è stato così violento, terra leccata, sangue, sale, sale e sale delle lacrime bevute insieme all’inchiostro. I tuoi occhi non sono più quelli, non cadono a terra a ogni minimo sguardo, ora fissano dritti, non sfrontati, solo severi, silenziosi e malinconici come quelli di chi sa e non dice. Il tuo sguardo è ora un tenero, tenero blues…

E vibra  caldo, morbido, dice che è finito il tempo della paura.

 Ora è tempo di ascoltare, di guardare, sentire la musica che si nasconde dentro le cose. Tempo che pulsa nelle vene, nelle tempie.

Non come allora, selvaggio e feroce
ora è dolce, profondo
è una nota di un sax
è il tuo blues che vibra… piano, dolce.

Che dire? Un privilegio strappato con arroganza, un’idea geniale nata quasi per gioco e poi cresciuta sempre più prepotente come una mosca fastidiosa: iscriverti di nuovo all’Università, ora, attempata improbabile matricola dai capelli brizzolati, tu, donna decisa, padrona di un corpo ancora attraente, dal quale non subisci più affronti, un corpo docile, obbediente, capace di imporsi più che di difendersi. Hai sistemato tutte le storie nei loro cassetti e il tuo armadio è perfettamente in ordine. Sei padrona di te, sei ricca del tuo tempo, tutto è già stato dimostrato, tutto è già accaduto, la famiglia, il lavoro, la casa. La tua vita non può più stupirsi di altra vita. E così ti sei scelta il corso di studi più divertente e balordo che possa esistere, di quelli che a vent’anni dici “magari”, poi ti volti da un’altra parte e dici “peccato”.

E invece io ora
POSSO PECCARE.
Posso seguire o non seguire, dare o non dare l’esame, studiare o non studiare…
Tutto ruota unicamente intorno al mio palato sopraffino.
Scelgo libri e giorni e cose da fare come abiti e scarpe
da un magnifico guardaroba a mia completa disposizione.

Nèmesi. Vendetta.
Hai scelto di venire qui per prenderti la tua rivincita sulla paura. Tra un po’ ti siederai su quella sedia, guarderai negli occhi il tizio che hai di fronte, lo guarderai così intensamente e profondamente che lui capirà, saprà che “tu sai”. Sai di lui, di tutta la baracca, della vita intera. Leggerai soddisfatta il suo imbarazzo nel leggero movimento delle sopracciglia. Lui inizierà a parlare, avvertirai un impercettibile disagio, poi vedrai il suo labbro superiore brillare di una minuscola stilla di sudore. Vendetta deliziosa.

Oh, certo, non ce l’ho con te, mio povero professorino
io ce l’ho con i miei vent’anni
con l’ansia che non sapevo gestire
con le sessioni che incalzavano
con i libri che macinavo avidamente
mandati giù turandomi il naso (che orrore)
senza gusto né amore per le pagine, sì,
senza tutto il gusto e tutto l’amore per quelle pagine
tutto il gusto e l’amore e il tempo che posso invece metterci adesso
ADESSO
perché adesso ho più del doppio degli anni di allora
e il mio nome è Nemesi, vendetta.

  … Meraviglioso…
Cammini, te la godi, te la gusti davvero la passeggiata lungo il corridoio, la stessa che allora facevi tremando a denti stretti, biascicando a memoria capitoli, date e titoli. Fulmini con gli occhi chi ti guarda con insistenza, incuriosito dal tuo aspetto agé, e glieli fai abbassare, gli occhi, SEI TU LA PIÙ FORTE ORA, perché adesso hai il tempo per sentire la musica che si nasconde dentro le cose, la musica dei tuoi passi, prima nascosta dal battito del cuore – tump, tump, tump, cavallo pazzo – su quello stesso corridoio che ti faceva tremare di paura.
Ti fermi davanti alla porta dell’aula. C’è un capannello di ragazzi.

Posso sentire l’adrenalina sulla loro pelle,
il cuore che batte, i risolini isterici
che nascondono inutilmente la paura.
Ti ho fottuto, mondo bastardo,
e mi riprendo quello che mi è stato rubato.
Nemesi, vendetta.

 Li guardi: sono proprio le stesse facce da schiaffi di allora, si assomigliano, addirittura. La saputa, la matricola, il timido, la tizia con la scollatura generosa, l’alternativo con i polsini borchiati, l’intellettuale. Proprio le orribili facce da schiaffi di allora. Allora ti facevi da parte, da un lato, non ti piacevano, stavi alla larga. Ora ridi. Socializzi. Parli. Vuoi sfidare, vuoi provare.

 Voglio provare il ritmo nuovo del cuore
 che non batte di paura ma di vita.
 Ho tutte le risposte.
Ma non quelle da dare all’esame
chi se ne frega di quelle
ho tutte le risposte che allora non sapevo dare
e tutte quelle risposte ora ce l’ho a portata di mano
in un bel pacchetto prepagato
comprato col sudore, con la sofferenza
sì, quelle risposte le ho tutte ben in tasca.

…Ed è bellissimo non volerle più dare.
Un ragazzino impacciato arriva nei pressi e si ferma da un lato, sembra assolutamente estraneo al contesto, ma è chiaro che deve dare l’esame. Si muove felpato come un gatto, morbido come la musica che hai dentro di te. Il ragazzo si avvicina a una tizia con i capelli viola, le chiede qualcosa. Vuole sapere se l’esame si tiene proprio lì. La ragazza punk gli dice di sì e gli lancia uno sguardo come a dire “ma guarda ‘sto sfigato ahò”, allora lui si richiude proprio come facevi tu alla sua età, mette le mani in tasca e si appoggia con le spalle al muro. E quel gesto è musica, musica di riccioli biondi che cadono come note di un sole che ride.

Purezza, fragilità, delicato sentire.
Preservare tutto questo
difenderlo dai modi zotici e aggressivi della teppaglia.
Quel gesto sono io, più di vent’anni fa.
Vendetta. Nemesi.

 Una ragazza gli si avvicina, gli chiede qualcosa, lui risponde a monosillabi, lei gli mostra il programma dell’esame. Il cucciolo resta fermo. Restituisce i fogli, si fa da parte, gli occhi che annaspano… Non ha niente in mano, non un libro, non un foglio, né la tesina. Un vero sprovveduto. Lo allontanano per quella sua aria smarrita, gli animali crudeli, i loro pensieri traspaiono chiarissimi dai loro occhi cattivi: “alla larga, quello è il tipo che ti stressa chiedendo suggerimenti, una disgrazia, magari ti spostano di banco perché si mette a chiamarti. Vattene via! via!”

Loro non sentono la musica che viene dalle sue scarpe…

E invece tu ti avvicini. Il tuo passo di donna lo affianca. Sei l’angelo vendicatore.

Lui non sa che io sono Nèmesi,
non sa che oggi sarò Nèmesi anche per lui,
sì, sono l’angelo vendicatore venuto dal futuro per aiutarti,
cucciolo sperduto, sono l’angelo vendicatore,
 era scritto che io fossi qui per te, oggi,
venuta dal futuro per te, per aiutarti.
C’era una ragione per tutta questa follia,
 ed eri tu oggi, ecco,
TU SEI LA MIA RAGIONE.

Ti chiede se hai una penna da prestargli. Ma certo, cucciolo. Sorridi, lui non può vederlo, ma tu sorridi perché sai già tutto quello che succederà.

Vieni, ci penso io a te.
 Non fa niente se non hai studiato
non fa niente se non hai fatto la tesina.
Non fa niente se non hai neanche la penna.
Vieni, non c’è niente da temere.
Io non ho mai avuto nessuno che me lo dicesse, allora
io non ho avuto un angelo vendicatore
che venisse dal futuro per me
vieni, non aspettare il prossimo appello.
Ci sono qua io, ci penserò io, a te.

Aprono, entriamo. Ti siedi vicino a lui lasciando un posto libero, per non destare sospetti.
Inizia la distribuzione del test, con annesse raccomandazioni di non parlare e di non copiare. Inizi a leggere, alcune sono difficili, ma il tuo unico pensiero è aiutare il cucciolo, così lavori nervosamente, hai paura che lui molli tutto e se ne vada prima che tu riesca ad aiutarlo per realizzare anche stavolta la tua vendetta. Ti volti, sbirci con la coda dell’occhio, lo guardi… E’ tranquillo. Lo vedi scrivere.

… Ma che fa? Spunta le risposte
 con cadenza perfetta:
tac, tac, tac
TAC, TAC, TAC…

Smetti di fare il test, non riesci a non fissarlo stupefatta. E’ una macchina da guerra. Sette… dieci… venti… QUARANTA. Finito. … Solo venti minuti e i riccioli biondi danzano felpati a riordinare i fogli, e tu sei ancora all’inizio.
Superi il primo sbandamento, chiudi la bocca allibita…E tutto si trasforma in sorriso.

Quante devi vederne ancora, donna
 che pensi di essere vecchia
e di averle già passate tutte
quante ancora ne devono succedere
perché tu ti avvicini al Grande Segreto, e ascolta
che melodia, ascolta, ascolta
come si muove piano, come un gatto
occhi di animale sperduto.
Il suo passo è ritmo sull’onda del blues
che canta dentro di te, come una sinfonia antica, profonda
dentro di te, l’eterno ritorno
e l’acqua che non è mai uguale…

 Il cucciolo ti restituisce la penna e, prima di andarsene, finge di armeggiare con quello che non ha, e ti chiede se ti serve qualche risposta.

Rido tra me,
 dio quanto rido,
non riesco proprio a smettere.

 “Certo che sì – sussurri – non ne so almeno una decina… dimmene qualcuna…”
Capisce al volo quello che ti serve e te lo regala. Si ricorda l’ordine delle domande, tu gli dici il numero e lui ti dice la lettera: tu dici “15” e lui dice “A” tu dici “36” e lui “D”…. L’operazione non sfugge agli occhi antipatici delle secchione che l’avevano schifato all’ingresso. In particolare quella con la scollatura procace è stizzita e contrariata, si starà rodendo all’idea di aver sbagliato ad esibire la scollatura.

Ah, Nèmesi, quanto devi aspettare ancora!
Vita, sei musica.
Come febbre, come fuoco, come Nemesi che ritorna.
E ogni volta che penso di essere arrivata
lei mi butta giù di nuovo, nella mischia, a combattere.

 Riccioli biondi danzano verso la cattedra per la consegna, morbidi e silenziosi, e lui se ne va, così come era arrivato. Ti passa vicino, alito di vento, lanciandoti uno sguardo complice, lo senti che ti trafigge, con quello sguardo, lui, passo felpato, mistero. E finisci il tuo test ridendo: le tue mani ridono i tuoi piedi ridono e se la felicità esiste, tu ora sei felice, perché sei vecchia sì, ma se avessi avuto vent’anni come allora, non avresti potuto sentire la sua musica, e non avresti potuto danzare il tuo blues, oggi. Saresti sorda e cieca come tanti, giovani e vecchi ciechi e sordi. Assapori quell’apparizione come un miracolo, e ti chiedi chissà dove sarà ora, chissà dove, chissà…

Apri la porta e lui è lì, seduto sulle scale.
Ginocchia abbracciate, sorriso, occhi che nuotano in un cielo felino. Vuole sapere come ti è andata.
Lo guardi, annuisci, accenni di sì, sì, sì e ancora sì.
“Benissimo – dico – il mio esame è finito. E’ stato un esame molto, molto importante”.
Lui ti guarda con aria interrogativa… “Che strana bella signora”, dice tra sé.

Ah, sapessi, cucciolo, che mistero questa musica,
questa danza che sento nel petto,
sapessi come si migliora crescendo,
come non si soffrono più le pene dei tuoi giorni,
quelli che i sordi e i ciechi chiamano “giorni spensierati”.
Sapessi quanto si gode, invecchiando,
sapessi come tutto si sente più nitido e forte…

Addio, Nèmesi.
L’esame è finito.
La vera vendetta è vivere.

 

esame
1979 – Prima degli orali – Foto Francesco Casciola, mio compagno di classe

Revenge Soundtrack: Ep 1. Angus and Julia Stone – For You