L’EREDITA’ DI FRANTI

Cuore

Questo testo è stato scritto per un libro ideato da Mirko De Frassine.
E’ una riflessione su tutti coloro che si illudono di essere gli eredi del grande Franti: dico “si illudono”, perché nel riso di Franti c’era un universo di dolore, nel riso di questi c’è solo uno stupido protagonismo dissacratorio.
Curioso che il pezzo sia stato visualizzato da centinaia di naviganti il giorno della morte di Umberto Eco, e continui a ricevere apprezzamenti nel tempo.

“Gli imbecilli dissacrino, è il loro mestiere.
Capire che il riso comporta un grado elevato di complicità con il potere
e l’ideologia dominanti, non è facile da concedere, ne convengo.
Che il riso non castighi i costumi ma li confermi, è duro da ammettere.
Ma è così. Il riso vale come critica solo se
si aggiunge a una critica che non ride.
Non può sostituirla. Debbo sapere che la tirannide è tragica.
Solo quando ciò è ben chiaro, come in Shakespeare o in Beckett,
allora posso permettermi di far entrare i clowns”
(F. Fortini, Il riso conferma i costumi).

Buongiorno, bambini! State seduti e mettetevi comodi, perché oggi voglio raccontarvi una storia, e voglio che voi comprendiate il vero significato di quello che dico, senza fraintendimenti, con la purezza di cuore di cui siete capaci. Siete pronti?

Ebbene, tutto cominciò tanti anni fa, quando i vostri genitori non erano ancora nati.
In quegli anni lontani fu scritto un piccolo saggio, dal titolo ”Elogio di Franti”. E’ di questo che voglio parlarvi, perché nell’ Elogio di Franti c’è – secondo me – la radice del tutto che ci circonda, e io voglio raccontarvelo.

L’Elogio di Franti fu quello che si definisce un ribaltamento del tavolo. Insomma, fece un sacco di scalpore. Si trattava di un piccolo, delizioso gioiello scritto da un grande studioso, di nome Umberto Eco, e significò per tanti un nuovo modo di leggere le cose. Ma chi è il Franti che viene elogiato da Umberto Eco? Franti è un personaggio del Libro Cuore. Non sapete che cos’è il Libro Cuore? Naturalmente… … umpf… Vi basti comunque sapere che era il diario di un bambino di Terza Elementare, diario dal quale emergeva una specie di fotografia dei tempi antichi in cui, fatta l’Italia, bisognava fare gli Italiani. Oggi è da considerarsi come un libro di storia, ma ai tempi dei vostri nonni fu un piccolo vangelo delle Scuole Elementari, e su quel libro si insegnavano le cose ai bambini. Nel Libro Cuore (che si chiamava solo “Cuore”, ma ormai è così che lo chiamano tutti), c’era la summa delle dinamiche sociali di un secolo fa: l’esortazione ai buoni sentimenti, la straziante esaltazione del patriottismo e di quella bandiera che voi sventolate durante i mondiali di calcio. Era l’eroismo tutto cuore e piccolo borghese che a quei tempi serviva per costruire una nuova nazione.
Ebbene, l’ Elogio di Franti lo fece a pezzi.

Con una rudezza tutta giornalistica e una sagacia tutta degna dell’enciclopedismo del suo autore, con un’ironia godibile e accattivante, l’elogio di Franti realizzava quel piccolo miracolo che avviene ogni volta che uno scrittore ti prende per mano e ti porta dove dice lui, fino a farti dire “quanto è vero, quanto sono d’accordo, quanto ha ragione, quanto sono figo io a capirlo!”.
Franti era il bambino cattivo della classe di Enrico Bottini. La sua prerogativa era il fatto che sghignazzava di tutto e di tutti, specialmente delle situazioni che meritavano umana comprensione. L’infame sorrise, dice De Amicis, sulla falsariga del manzoniano la sventurata rispose. Nell’Elogio di Franti, quello che per De Amicis (e per i vostri nonni) era stato un infame, trovò il suo riscatto, e diventò un gigante, un eroe. Enrico Bottini, al contrario, cioè il bravo bambino che racconta il suo anno scolastico con lo spirito di un piccolo romantico risorgimentale, diventò un insulso borghesuccio, pronto a obbedire pedissequamente a un ordine costituito, e a farsene servo.

L’Elogio di Franti segnò per un’intera generazione il tramonto dei buoni e la vittoria dei “cattivi”: ben più solidi, più interessanti, senza retorica, i cattivi, e quanto più vivaci e divertenti! Franti era il bambino che Don Milani avrebbe raccolto e curato, Franti era quello che non riusciva a stare fermo, Franti è il ragazzino a cui Filippo Neri avrebbe detto “stai buono, se puoi”. E lui non poteva. Franti era bellissimo, così come Eco ce lo rileggeva. Tanto bello lui, quanto insulsi e mediocri tutti i buoni che popolavano il Libro Cuore e che popolano le vostre classi e le nostre strade. Certo, l’Elogio andava saputo leggere: perché in Franti Umberto Eco vide anche un lato oscuro, anarchico e assassino, che i più non capirono, presi dall’entusiasmo e soprattutto incapaci di leggere un saggio fino all’ultima pagina.
Fatto sta che, da lì, il cammino delle menti meno acculturate fu facile, e la discesa veloce: pian piano tutto ruzzolò giù dalla china, verso la “retorica del cattivo”. Il cattivo è sempre dall’altra parte, pronto a ridere di ogni cosa comune. Il cattivo è un animale verace, istintivo, soffre e tira pugni perché non lo fanno entrare nei circoletti esclusivi, perché non è popolare, perché non è bravo a scuola, perché non emerge mai, perché quelli bravi lo trattano come un reietto, lo emarginano. E allora il cattivo diventa un eroe nel suo essere cattivo, nel suo isolamento tipico del genio, nel suo tormento inconsapevole, nelle sue reazioni impulsive e animali.
Quanto più bello è il Joker, di fronte a quel bravo ragazzo di Batman, non è vero bambini? Quanto più interessante il Diavolo urlante dalle sue esalazioni di zolfo, di fronte a un insignificante Angelo, chiuso nel suo silenzio ossequioso, vero bambini? Bello, il tormento interiore del cattivo. Bello, scoprire il perché della perfidia di Franti. Bello, indagare sui motivi del suo ghigno. Forza del male e forze del bene: è su questo che ruota l’immaginario di tutti i bambini! Ma voi vi chiedete mai quale sia la storia dell’Uomo Nero? No! un bambino non può e non deve sapere quali siano le radici profonde dell’essere “cattivi”, quali disastri sociali si celino dietro la cattiveria, e dietro la stessa “cattiveria” di Franti, quanta povertà ci sia, quanti fallimenti di padri e di madri, quanta fame, quanta malattia. Voi bambini volete sapere solo come si può combattere la paura dell’Uomo Nero, non il motivo per cui quell’Uomo è diventato nero. E’ presto, per quello. E c’è tempo, per crescere…
Le aggressioni ridanciane di Franti insegnavano, un tempo, il modello negativo: quello che fa Franti “non si deve fare”, è da “infami”. Altro che figo.

Insomma, volete sapere che cosa penso io?
Franti andava salvato, è vero. Ma la voce narrante è quella di un bambino come lui, non quella del maestro. Franti avrebbe fatto bene a combattere quei suoi impulsi alla distruzione, al dissacratorio: impulsi che lo hanno condotto all’autodistruzione. Franti andava salvato, Franti andava guidato alla comprensione del fatto che il non capire non può tradursi in un ghigno beffardo, il non capire andava guidato verso quella sola salvezza che lo avrebbe portato al riscatto, a quella parte “construens” che gli avrebbe permesso di giocare con De Rossi al suo stesso gioco, e di batterlo, perché lui era più forte, più creativo, più sfortunato, e la sfortuna la puoi battere, tu che nasci perdente.
E anche tu bambino puoi vincerla, pensando a te, alla strada che devi percorrere per emanciparti, al tuo personale interesse, alla tua personale rivincita. Nessun ghigno salverà Franti dal suo destino, nessun ghigno lo emanciperà dal disprezzo di De Rossi e di Garrone. E nessun ghigno salverà te, bambino, dall’emarginazione, dall’isolamento, dal riscatto sociale a cui hai diritto, se disperdi le tue energie ghignando su un social. Il ghigno, bambino, è per pochi: e ci si arriva dopo aver ingoiato un sacco di spugne. E può permetterselo solo chi veramente ha del genio.
E’ fissato col riso, Umberto Eco, sapete. Perché scrisse durante gli Anni di Piombo, anni in cui non si rideva mai…

Fu così che il mondo, da allora, disgraziatamente iniziò a popolarsi degli eredi di Franti. Da nessuno che rideva, si passò a un mondo di cretini dove si rideva e basta, in un eterno carnevale senza capo né coda. La retorica del cattivo annacquò tutti i buoni, e li rese zimbelli. Ma non fu solo questo il guaio. Il guaio fu, bambini, che anche chi non era cattivo trovò, nel ghigno di Franti, un modo per rendersi interessante. Anche chi avrebbe potuto e voluto giocare nella squadra dei bravi costruttori del movimento della grande proletaria, trovò più comodo e più divertente recitare il ruolo dell’infame che ride. Franti non divenne il modello dei geni, ma dei mediocri, di quelli che non riuscivano a fare niente, che non erano capaci di porsi degli obiettivi, e di combattere, di costruire. Scelsero di mettersi all’ultimo banco, e da lì, di ghignare su tutto e su tutti, affacciati alla finestra, orgogliosi delle loro orecchie d’asino, desiderosi addirittura di stare dietro la lavagna perché si sentivano più fighi degli altri (salvo poi, quando crebbero, volere il contrario per i propri figli). Chi era buono diventava buonista, chi voleva bene alle persone diventava un annacquato sostenitore del volemose bene. Mischiarono tutto, confusero tutto, gli eredi di Franti. Eliminarono ogni distinguo, vittime di una cultura approssimativa e incapace di lavorare sulle distinzioni. Gli eredi di Franti erano facili, gestibili, divertenti, interessanti.
Le maestre erano pazze di loro: oh, sì che capivano bene quei bambini geniali, geni esse stesse, proprio perché li capivano! E finirono per non capire più i Bottini. Che noia Bottini, sempre zitto e collaborativo! Che noia il saputello con la mano alzata, che noia quelli che facevano domande. Era Franti il bambino che meritava tutta l’attenzione, quello dei film, quello che ti avrebbe resa protagonista di una bella storia da raccontare. E’ su Franti che andava investito tutto, perché sfaticato e ignorante, ma ghignante, e siccome ghignante, genio.

E così quelle maestre perpetrarono l’assassinio: Franti fu incoraggiato a essere sempre più Franti. Ghignò di tutto, iniziò a fare il furbo, a rubacchiare, a ridere di chi lavorava onestamente. Diventò lui il modello anche per le indoli più docili e remissive.
Divenne conformismo essere anticonformisti. E sapete chi andò avanti nella vita? Solo quelli che avevano buone famiglie alle spalle, e libri, e disciplina ben pagata. Oddio, qualche Franti riuscì anche a fare fortuna, e divenne potente e ignorante: una bruttissima razza di persone, in verità, ma tutto questo non interessava a nessuno.

Guardate, guardatevi intorno: anche oggi tutti ghignano e si sentono un sacco fighi. Pure quando non valgono niente, non fanno niente, non osano, non provano, non si mettono in gioco: è l’eredità di Franti! L’unico gioco che conoscono queste persone, cari bambini, è il ghigno fatto stando alla finestra. Ne conoscete tanti anche voi: per esempio quelli che fanno i bulli, quelli che girano brutti filmati e li mettono su You Tube, quelli che non hanno una cultura, quelli che parlano per aforismi. Quelli che condividono le frasi dei libri senza averne mai letto uno. Quelli che vanno dove tira il vento perché è così che si fa. Quelli che tifano solo per chi vince. Quelli che “l’importante è vincere” con qualsiasi mezzo.
Il vecchio Jorge – altro protagonista di un libro di Umberto Eco, che è un po’ fissato col riso, sapete – è cieco, e non sa sorridere. E’ lui l’assassino, è disposto ad uccidere pur di affermare la maschera della serietà. Ma la maschera del riso, in mani sbagliate, uccide nello stesso modo, e il ghigno uccide quanto Jorge. E’ l’immeritata eredità del povero Franti!!!!

Beh, ora devo lasciarvi. Sono così stanca… Ma ricordate: imparate il sorriso, e diffidate di chi ghigna. Fate i buoni, se potete. E tornate a trovarmi.
Il dottore vi farà entrare. Anche se il manicomio non è un posto per bambini.


Edmondo De Amicis-Cuore

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