LA STREGA

Una storia come tante
se non capita a voi.

Piccola di statura. Gli occhi verdi, i capelli neri, la pelle bianchissima, le curve morbide. Un aspetto per nulla appariscente.

          Il mio nome era Lanfusa, e non ero il tipo di donna che fa girare la testa per strada: nulla avevo di così attraente da catturare l’attenzione degli uomini. Ma se uno sguardo per caso finiva nei miei occhi, o se un orecchio sensibile prestava attenzione alla mia voce, scattava una trappola inesorabile.

         Ancora sento le boccate di fumo acre nella gola: io, Lanfusa, sono morta soffocata prima che il fuoco mi toccasse, perché il boia ha sistemato la pira ad arte. Solo pochi istanti, un po’di bruciore alla gola, qualche colpo di tosse, ma il fuoco non ha toccato me viva, le mie carni rotonde, le cosce, i fianchi su cui si posavano spesso gli sguardi furtivi degli uomini, gli occhi cattivi delle donne. Ha avuto pietà di me, il boia. Chissà perché, visto che anche lui, incontrandomi per strada, evitava il mio sguardo di gatta nera, schiva e affamata, per paura della fascinazione. Strega, abbassa gli occhi, guarda altrove, brutta strega!… diceva tra i denti, e poi recitava il Pater noster, finché l’ultima piega del mio abito non avesse svoltato l’angolo della strada. Eppure ebbe pietà di me, il boia. E questo fu l’ultimo regalo che io ebbi dalla vita.

         La mia vita bambina fu costruita su una frana. Se i grandi si accorgevano di me, cioè se per puro caso i loro occhi si poggiavano sulle mie gambette o sulle mie guance bianche, o sul mio collo esile, ebbene loro non riuscivano proprio ad evitare di allungare le loro brutte zampe pelose. Era evidente a tutti costoro che non avrei chiamato mio padre, che sarei rimasta lì pietrificata, non sarei scappata via, avrebbero preso quello che volevano: un ganascino, un buffetto, uno sculaccione, un apprezzamento sulle tettine incipienti, un bacio che dicevano innocente sulle labbruzze rosse.
E così diventai muta e paurosa. Mi accantucciavo negli angoli, giocavo ad essere invisibile, a uscire da me e a volarmene via, per non sentire la mano che si allungava a pizzicarmi le guance, o quegli occhi che mi rubavano cose senza che io volessi. Quando accadeva lo stesso alle mie amiche, loro scappavano, si rifugiavano sotto i tavoli o dietro le gonne delle madri, urlavano e mordevano… Io non ci riuscivo. Immobile, sapevo solo uscire da me. Facevano di me ciò che volevano, delle mie guance e delle gambette e tutto il resto, mentre io mi dicevo  “Tu non ci sei, tu non sei qui, sei lungo il fiume a contare ciottoli rotondi come piccole mele, uno-due-tre-quattro… Bianchi e lisci come le mele, uno-due-tre-quattro, o a raccogliere erbe per giocare a signore e signori…
Poi tornavo. Rientravo nel mio corpo in tempo per vedere quelle facce rubiconde, e chissà, chissà che cosa era successo mentre io non c’ero, mentre ero sul fiume…

Io, Lanfusa, non ho visto e non ricordo gran parte delle cose che mi sono accadute, per il semplice fatto che non c’ero. L’ultimo ricordo che possiedo è dunque quello di un vecchio che si accostò alla mia schiena dritta, dondolò, canticchiò una cantilena… Poi il calore bagnato tra le scapole, poi più nulla. Crebbi così, muta e nera, senza l’allegra fortuna di chi è aperto al mondo. Schiva, evitando i contatti, evitai ogni male.

“Vivere come un lupo nei boschi,
respirare talmente piano da non farti sentire,
non ti devi far sentire, come quando giochi a nascondino e sei accucciata per terra dentro una buca e senti solo il tuo respiro strozzato,
e un limpido filo di saliva
ti cola dall’angolo della bocca bambina spalancata…
Così… Non ti troveranno mai.”

            Mi chiamo Lanfusa, ed ebbi disprezzo profondo per chiunque a me si accostasse grugnendo. Capii, sentii, annusai, non servirono mai troppi segnali. Quando ho potuto, ho giocato come il gatto col topo, per vederli ai miei piedi. Tutti di me ebbero paura e mi tennero lontana. “E’ una strega” … “E’ una matta, Lanfusa”, oppure “E’ malata!” … Ma la verità è che avevano paura.

Un giorno Oderisi, il suonatore di violino, si fermò in piazza e mi sentì ridere.
Alto, vestito di nero, Oderisi era come le corde del suo strumento, asciutto e vibrante. E aveva gli occhi più profondi del pozzo del Norlot, i capelli lunghi, raccolti sulla nuca. Non aveva mai rubato, il violinista, nella sua vita. Era ricchissimo di tutte cose che gli avevano regalato. Il suono della mia risata, bastò quello, non volle sapere altro: e fui subito nella sua testa. Tese la mano e mi disse di ballare.
E fu la prima e ultima volta che riuscii a non mordere una mano tesa.

Dio come ho voglia di farlo – FIDARMI – se lui ha le braccia grandi se ha una storia di dolore di voglia di Donna se non grugnisce se è disposto a rischiare di affrontare affrontare affrontare affrontare una strega senza metterla al rogo, una bimba senza rubarle nulla, se avesse il coraggio di rischiare di guardarla negli occhi e insegnarle a ballare .. Dio come sarebbe bello…”

               Io, Lanfusa di Norlot, sentii i suoi occhi attraversarmi l’anima e non seppi come.
La mia magia impallidì, perché lui aveva forza, e un potere occulto e nero.
Mi consegnai, ebbi voglia di farlo. E per sette notti danzammo sotto la luna.

“Lupo dei boschi, strega, ora mangi nel palmo della sua mano, perché lui ti ha riconosciuta. Ti ha scoperta, ha capito che Strega non sei, che sei povera ferita aperta, perciò non ha paura di te, non guarda le tue scapole umide. Lui, Oderisi, il suonatore di violino, in un modo o nell’altro, segnerà il tuo cammino”.

      Stette con me Oderisi, stette con me per sette giorni e sette notti, nel bosco di Norlot, sotto la luna. Suonava, ballava, non parlava, guardava me muta, stupita.

Quando Oderisi andò via i miei occhi non furono più schivi e felini, non tagliavano più come una lama puntuta. Egli andò via senza parlare, senza voltarsi.
Fui proprio io, io stessa, che volli così, e per un po’, almeno per un po’, conobbi la vita degli uomini sulla Terra.


Questo racconto, in realtà, non ha una fine.
Certe storie restano sospese così, aspettando qualcosa…
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Strega-alla-luna

Boozoo Bajou – Night Over Manaus