LA FINE DELLE STORIE

Quando scrivi una storia, o quando la racconti, la cosa più difficile è sempre la fine.

Di qualsiasi storia si tratti, vera o immaginata, verisimile o fantascientifica, raccontare la fine è difficile perché nessuna storia finisce veramente. Solo la morte può far finire una storia in modo matematico: il personaggio muore, la storia finisce. Ma se NON muore è lì il problema. Se il personaggio non muore, la storia continua. Per uno scrittore una storia non può finire mettendo un punto. Chi scrive sa che quel punto vale sulla pagina, può valere per chi legge e vuole essere rassicurato, ma nella vita le cose vanno diversamente. Un punto è un pugnale, o un acceleratore, è un inizio, o l’inizio di una fine che avrà il suo tempo per finire. Una storia o una vicenda o un’avventura non si concludono mai come avviene nei libri. Chi scrive inventa, e inventare la fine è ingannare chi legge.
Per tanti anni non ho più scritto per paura di scrivere i finali. Poi un giorno ho ricominciato, ma i finali erano sempre sbagliati. Perché la vita ha questo: non riesci a immaginare o a prevedere, lei va sempre oltre, oltre, oltre il narrabile e verso l’ineffabile. E tu non puoi che inventare nella lucida consapevolezza che poi le cose andranno diversamente.
Li ho riscritti, a volte, i finali delle mie storie. Rivisti, rimaneggiati, limati, allineati al vero. Non posso tollerare di raccontare favole, invece che storie. Ma ogni volta quel finale mi lascia con un ronzio nella testa. Il finale non va mai bene, perché non esiste, un finale. Niente e nessuno ti lasciano con un punto e a capo. Resta un capitolo, e non puoi strappare le pagine. E la storia che scrivi dopo, se hai un cervello evoluto, avrà sempre “in sé” quel capitolo.

Bisogna scriverle, le storie, se si ha a cuore il Vero, con l’unico finale possibile e credibile, l’unico finale che esista davvero.
Allora sì, che sono credibili.





Period Drama – The End of the Story