IL GRANDE SAM

terremoto l’aquila ricostruzione

Al “doc” Samuele Di Giovanni, “IL” dottore.
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Quando c’erano macerie, io vedevo i palazzi.
Ora ci sono i palazzi, e vedo le macerie.

Ovunque io vada, l’occhio si ferma negli angoli dove s’annicchiano mucchietti di fiori marci, davanti a gigantografie con facce di ragazzi, davanti a una bandiera greca ormai sfilacciata da dieci anni di piogge e di vento.

Però stamattina c’era il sole, un sole buono, e me ne stavo per tornare a casa tutta contenta. Poi Teo mi tira da una parte, su un prato dove pascolano due cagnetti al guinzaglio.

L’uomo che li porta lo conosco, è Samuele. Ma non so se lui conosce me, perché Sam è un professionista molto noto in città, e quelli molto noti non sempre ti si ricordano.
Invece no, Sam è un grande, mi si ricorda: come tutti i grandi non se la tira, sembra uno qualunque, normale direi, normale nel parlare e nel vestire. E così ci sediamo su una panchina della Villa Comunale, e scambiamo due chiacchiere, e come sempre si finisce a parlare del terremoto.
Non resisto, e glielo chiedo: dov’eri quella notte? se eri qui quella notte, raccontami, dai

E lui racconta.
Non c’ero, sono corso qui da loro nel giro di cinque minuti. Proprio qui, in questo punto, ho incontrato mia figlia senza scarpe col pigiama strappato, ha detto solo “mamma è morta”. L’ho lasciata su questa stessa panchina dove stiamo seduti, è incredibile, proprio su questa panchina… Corro lì, vedo il palazzo imploso, mi metto le mani ai capelli, di 22 persone che abitavano lì mi dissero che ne mancavano 14. La polvere non si posa, brancolo un po’ sul cumulo di macerie, non so che fare, provo a scavare, e a un certo punto da lì sotto sento prima un guaito, poi un abbaio, l’abbaio di un cane, il mio cane che chiama, è vivo! e se il cane è vivo… c’è nessuno lì sotto? Chiamo i soccorsi… no… Impossibile contattare chiunque, chiamo aiuto, grido aiuto, vedo arrivare due ragazzi, uno di questi è un gigante, è enorme, gli dico “lì sotto, lì sotto”, lui comincia a scavare a mani nude, le mani due pale, una bestia, non si è mai riposato e mannaggia non so neanche come si chiama, so solo che era di Teramo, perché glielo chiesi, un volontario, emmannaggia, ci penso sempre, che non l’ho potuto mai ringraziare… è scomparso subito… è andato a scavare da un’altra parte con le sue enormi pale…

Qui Sam tradisce un piccolo singulto nella voce, una strozzatura, ma si riprende subito, dice è scomparso, scomparso subito dopo che ha tirato fuori mia moglie e i due cani, s’era creato un piccolo varco che li aveva protetti, lei s’è rotta il bacino ma l’ha tirata fuori, l’ha tirata fuori, anche i cani, e poi è scomparso…. scomparso. Guarda!

Mi dice guarda! e mi indica il braccio libero dal guinzaglio: i peli sul braccio sono tutti dritti, a fatica riesco a guardare perché… cavolo, dev’essermi andato qualcosa negli occhi.

Guardiamo il suo braccio, poi ci guardiamo in faccia, increduli nel vedere quell’orripilazione da sola memoria, e poi cominciamo a ridere, a ridere, e guarda il braccio, e guarda la faccia che ride, la faccia che ride e il braccio… e continuiamo a ridere, finché lui non lo abbassa lentamente. quel braccio.

“Siamo diventati come quei vecchi che parlavano sempre della guerra… ” dico io, ridendo e stropicciandomi gli occhi. Si mette a ridere ancora di più, annuendo, il grande Sam, e ridiamo, ridiamo ancora…

In mezzo al cinguettio di tutta quella gente che vuole dimenticare, noi ridiamo e pensiamo silenziosi che dimenticare non solo non è possibile, in fondo non è neanche giusto. E ogni giorno voglio incontrare un grande Sam, che mi racconta la sua storia.

Son quasi dieci anni.
Quando c’erano macerie, io vedevo i palazzi.
Ora ci sono i palazzi, e vedo le macerie.

C’è un andare nel mio restare…  c’è un restare nel mio andare…

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