I DUE LATI DELLA STESSA STRADA

Quando Pasquale mi ha chiesto di scrivere qualcosa per l’anniversario del 6 aprile ho pensato subito che non l’avrei fatto. Per me, come per tanti aquilani, ogni giorno è il 6 aprile. E finché non riavrò la mia casa e la mia città, sarà sempre il 6 aprile, non un giorno diverso da quello. Poi ho riflettuto, e ho pensato che il mio modo di vivere il ricordo della città perduta è descriverla, come fanno tanti altri miei concittadini, che parlano, raccontano, come fosse un bisogno irrefrenabile, o l’unica via di uscita da quella che da subito abbiamo capito essere una profondissima palude. E’ tuttora il nostro modo di vivere: scrivere e ricordare.

Ma il 6 aprile io starò zitta, e molti altri aquilani lo faranno.

Scrivo oggi, 3 aprile, perché da domani io starò a casa, accenderò una candela e la metterò fuori dalla finestra, come ho fatto l’anno scorso. Con una candela cambierò il mio avatar su Facebook, come tutti quelli che accenderanno una piccola luce per i 309 morti di quel giorno e per tutti quelli che, dopo quel giorno, per due anni, hanno continuato a morire di dolore, per quelli che dopo quel giorno si sono ammalati, per quelli che ora hanno bisogno di psicofarmaci, che hanno attacchi di panico, che non rivedranno mai più la città.

Il terremoto dell’Aquila è stato la prosecuzione di un destino antico: ha colpito a chiazze, a famiglie. Chi sì, chi no. Chi duramente, chi affatto, anche se comunque ha tolto a tutti la città antica. Nel centro storico, in mezzo alle macerie, alcune case sono rimaste in piedi. Alcune zone di periferie hanno edifici intatti, di fronte ad altri distrutti. Molto spesso è successo che su una stessa strada, il lato destro è stato colpito, il lato sinistro è rimasto illeso. Questa “ingiustizia” fatale, questa cecità chirurgica, quest’agopuntura del destino, sono stati una rovina, perché ci hanno diviso e ci hanno resi deboli. Il sisma ha catalizzato dei processi nefasti. Ci troviamo ora nell’orrida condizione per cui pagherà il prezzo più caro, in vite umane e in denaro, proprio chi è stato più colpito. In queste situazioni viene fuori il peggio, e non perché siamo aquilani meridionali, piagnoni e corrotti, ma perché è scritto nella natura di una società globale che vive una battuta d’arresto, è basata sulla concorrenza, è immatura, incolta: una società che non si è nutrita di libri che coltivassero il valore della pietas, piuttosto ha preferito ad essi i manuali e i vademecum su come si diventa ricchi e famosi. Musil diceva che la Storia procede come una palla da biliardo sul tappeto verde, non c’è una logica, non c’è un avanti o un indietro, c’è solo un gioco di spinte. Ebbene, la spinta prevalente è oggi il denaro. Tutti hanno cercato di lucrare sul povero destino di chi all’Aquila ha perso tutto ciò che aveva. Nemici interni, nemici esterni, spesso nemici antichi, che hanno riso e continuano a ridere. Mai intercettati, volteggiano sulla preda. Come se non bastasse, il terremoto dell’Aquila è divenuto un campo da gioco di contrapposizione politica, una palestra per fare prove di forza e braccio di ferro tra poli opposti, un tavolo per giocare a Risiko. Militanti della politica, vecchie volpi pronte a lanciarsi per menare le mani, gente in cerca di una guerra da combattere, nostalgici di crociate, affaristi, investitori, tutti costoro aspettano. Aspettano…. Quale cielo migliore dell’Aquila? Li abbiamo visti volteggiare, immediatamente, sui cieli ancora pieni della polvere dei muri crollati. Pian piano i loro cerchi disegnati nell’aria si son fatti più stretti. Altri predatori, d’altro genere, sono comparsi più tardi, subdoli, uscendo dai loro anfratti, dai nascondigli, dai cespugli, in branco.

Possono attendere tutto il tempo che vogliono, loro. Noi no.

Non siamo stati capaci di difenderci. Ci è stata scippata la nostra buona volontà, la nostra voglia di lavorare. Le abbiamo provate tutte, con i comitati, con la legge di iniziativa popolare, con i cortei, con le mille forme d’arte che gli aquilani hanno nel sangue, teatro, cinema, letteratura, giornalismo. Abbiamo girato l’Italia, abbiamo raccolto il gesto generoso di tanti che ci sono stati vicini, come gli amici di Napoli, città sorella, che ci ha “adottati” e seguiti, dando prova di grande solidarietà umana.

 Ma ai comitati si sono contrapposti altri comitati, a leggi altre leggi, a crociate altre crociate, come i due lati della stessa strada, quello sano contrapposto a quello rotto.

Eccoci, ora siamo stanchi. Davanti all’intera Africa che esplode, davanti all’intero Giappone ingoiato dal mare, che cos’è L’Aquila, che qualcuno si ricordi di lei? Eppure gli amici di Napoli sono qui, vogliono sapere di noi, si preoccupano dei nostri ragazzi, di come vanno a scuola, se sono contenti, se riescono a studiare su buoni libri pieni di pietas. I nostri amici di Napoli si ricordano, vogliono sapere…

Il pessimismo della ragione mi dice che saremo a lungo in queste condizioni, che la popolazione si dimezzerà, che in tanti se ne andranno scrollandosi la polvere dai sandali. L’ottimismo della volontà mi dice che ci sono persone oneste che fanno il tifo per noi, che ci seguono da lontano con partecipazione e affetto, persone che – impotenti quanto noi – hanno comunque fiducia nel progresso della società civile: quella palla bianca sul tappeto verde prima o poi deve andare in buca, e l’ottimismo della volontà grida che la Storia subisce battute d’arresto, sempre paga tributi terribili di vite umane e di generazioni intere, ma alla fine garantisce un gradino superiore a quello del secolo precedente. E’ toccato a noi, la nostra generazione paga per le prossime quindici: la Storia insegna che in tanti resteranno all’Aquila, tosti e coriacei come giocatori di rugby, a ingoiare la polvere, a dare spallate, a giocarsi la vita qui, perché non c’è nessun altro posto dove potrebbero o vorrebbero essere.

Il 6 aprile, secondo me, questi staranno in silenzio.

____________________________


Tom Waits – Wrong side of the road