DE INCURSIONE CIVICA

Il racconto è la storia di una violazione di transenne. Ecco perché la premessa.
 
 

ATTENZIONE: QUANTO QUI NARRATO E’ DA CONSIDERARSI RACCONTO DI FANTASIA. ENTRARE IN ZONA ROSSA E’ INFATTI UN REATO PERSEGUIBILE.

 

“Non ho mai infranto deliberatamente la legge in vita mia.

Le leggi tutelano i cives, le leggi sono espressione di democrazia. Le leggi sbagliate devono essere cambiate dai cittadini che in esse non si riconoscono, con gli stessi strumenti che quelle leggi hanno emanato. La testa mi ripete tutto questo, ma stavolta non ce la faccio. Annalisa mi dice: “Andiamo”, e qualcosa nei piedi non riesce a fermarsi, qualcosa nei piedi mi porta senza che la testa riesca a fermarli. Quel qualcosa nei piedi mi porta e non riesco a dire di no, come ho fatto finora. Le leggi tutelano l’incolumità dei cittadini, ma io ora non voglio essere tutelata, la mia salute ha ora un’altra priorità, e la priorità ora è VEDERLA. E’ passato troppo tempo, lei mi manca. Voglio passare dove prima passavo, voglio camminare lì in mezzo, mi manca, mi manca come l’aria buona, mi manca come un pomeriggio di shopping tra i vicoli antichi, mi manca come la biblioteca, mi manca come la sala Patini, mi manca come il pane uscito dal forno, mi manca come una vita precedente. Mi manca. E i piedi vanno, come portati dai pedali di un bicicletta in discesa. Gli occhi vogliono vedere, le mani vogliono toccare. I miei concittadini lo fanno da sempre, voglio farlo pure io. E’ il mio turno, e mi va di raccontare com’è. La pioggia torrenziale di questi giorni avrà fatto altri danni, starò attenta ai balconi e ai cornicioni, non posso farci niente, e più cammino più aumento il passo, il cuore è già dentro. La transenna lascia un varco giusto per infilarsi, chissà in quanti l’hanno varcata prima di me e quanti lo faranno dopo. Basta, è fatta, sto dentro.
Vengo ingoiata dal buio, uso la luce del telefono. Lei è morta, sventrata, puntellata come il cadavere del capo di una tribù italica in battaglia, sostenuto sotto le ascelle per incutere coraggio all’esercito, timore al nemico. E’ incazzata. E’ nera di rabbia, o così io la “sento”. Le strade sono pulite, le macerie sono ammucchiate ordinatamente in piccoli punti di raccolta. Sarà piena di veleno per i topi, immagino, oltre che di ethernit volante. Esploriamo una piccola zona. Sto meglio. Come quando vai al cimitero, è una cosa che non serve a niente ma se ci vai ti senti meglio, ogni tanto devi farlo, per te. Un piccolo giro, sapevo già tutto, ho visto tante foto, ma toccare è altro, non si manda qualcuno al cimitero al posto nostro.
“Ok, il giro è finito, usciamo, dai…”. L’ultimo flash della macchina fotografica… Troppo sparato, si vede lontano un miglio… Ci beccano. “ALTOLÀ!!!!!”. Da lontano, qualcuno grida. Restiamo impietrite. “Porc…Ecco fatto. Ci vanno tutti, ma beccano solo me, porca miseria”. Ci giriamo lentamente, scena vista in tanti polizieschi, tanto ormai qua è tutto un film. Da lontano, una torcia puntata sulla faccia. “Fermatevi!” tono secco e deciso, ma non da far paura. Pensiamo: “E chi si muove?”. Si avvicinano. “E’ fatta, una denuncia, che vergogna, è la mia fine. Ma venderò cara la pelle, farò una crociata che se la ricordano a vita, mi incateno ai cancelli del Tribunale (ma dov’è il Tribunale?) mi incateno al Comune (ma dov’è il Comune?) mi incateno all’Aquilone.. (azz… all’Aquilone???), insomma da qualche parte mi incateno e mi lascio morire di fame…”. Tutto questo mi vortica nella testa mentre loro si avvicinano. Li vedo: due ragazzini in mimetica, avranno vent’anni, mi sento ridicola, giocare a guardia e ladri, una signora attempata che infrange la legge, ma non ho la minima paura, sento la città pronta a sostenermi, le carriole mi difenderanno a spada tratta, Santa Carriola del Presidio proteggimi, dirò 3.32 preghierine…. I due ragazzi mi fanno tenerezza, chiedono scusa, bene educati, quasi mortificati per quello che sta succedendo. “Perché non vi siete fermate prima, al posto di blocco?” “Ma quale posto di blocco?” “Ah, allora non eravate voi” dice uno, rivolto più al collega che a noi, un po’ preoccupato. Mi viene in mente un flash di fuggi-fuggi di aquilani che girano come topi, infilandosi nei vicoli a destra e sinistra e ‘sti poveri ragazzi che li inseguono, investiti del doloroso ufficio della pubblica incolumità.
“Documenti”
“Non li portiamo dietro, stanno in macchina”
“Andiamo in macchina allora. Non lo sapete che è pericoloso stare qui?”
“Sì”
“Non lo sapete che ieri è crollato un balcone?”
“Sì”
“Non lo sapete che ci mettete nei guai?”
“Sì”
“Non lo sapete che dobbiamo proteggere dai saccheggiatori?”
“Sì”
“Siete dell’Aquila?”
“Sì. E dobbiamo rivederla, ogni tanto”
“Lo capiamo, ma non si può”
“Ma si deve”
“Se non siete dell’Aquila sono guai per voi”. Il ragazzo verifica la residenza.
“Bene… Siete fortunate perché siete dell’Aquila!”
“Eh… Che culo?”
Ridiamo.
Ci lasciano andare dopo un cicchetto.
Dentro, il cuore che dice: “A domà”.

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Tom Petty – Maty Jane last dance