CARO COMMISSARIO…

Comunemente si dice che gli Esami di Stato
sono un incubo per gli studenti.

Ma un poco lo sono anche per i docenti.
Nonostante l’età e l’esperienza,
o forse proprio per questo,
i docenti che hanno preparato la classe sono lì,
col cuore che batte.

Nell’immaginario collettivo, l’Esame di Stato è qualcosa che ti segna per sempre, una sorta di rito tribale in cui i ministri sono i commissari “interni” ed “esterni”, e tutti pensano che gli “interni” siano preoccupati per gli studenti deboli, che sono arrivati fin lì per grazia ricevuta.

Ebbene, non è così.

Il Commissario Interno non è agitato per quelli meno bravi, perché i meno bravi sono gli specialisti del “rush” finale. Sono quelli che con sapienza hanno esercitato la loro intelligenza nei cinque lunghi anni di liceo per sviluppare un’unica abilità: raggiungere il massimo risultato col minimo sforzo. Si presenteranno al colloquio carichi, pimpanti, e conteranno sui Commissari Esterni per riscattarsi: in loro cercheranno una nuova identità, alla faccia degli interni, che non potranno che rosicare. La brillante performance del colloquio sarà la loro migliore interpretazione, e saranno bravi, bravi come li avevi sempre sognati.  Sapranno esporre la tecnica del labor limae, ma qualcuno di loro dirà “labor LAIM”, senza che nessuno se ne accorga, così manifestando una certa pratica di cocktail, piuttosto che della lingua Latina. O parleranno di Marziale, e della figura del cliens, chiamandolo però “CLAIENS”, così dimostrando che un host ha più valore di un libro di latino. Però si dirà: “via, bisogna capire, si tratta di nativi digitali… bisogna valutare la performance!”

Ecco perché il Commissario Interno non si preoccupa per questi. E’ impensierito, invece, per tutti coloro che in cinque anni ce l’hanno sempre messa tutta, i “bravi”, o per quelli che proprio bravi non sono, ma che lentamente si sono emancipati da una condizione di minorità, riducendo il gap sociale.

Questi arriveranno all’Esame esausti, sfiniti al punto da rischiare un corto circuito che li porterà forse a non brillare, o forse a dire una cavolata, così, per un improvviso upload involontario, una maligna interferenza della memoria. Arriveranno alle prove senza cartuccera, senza auricolari stile “Club degli imperatori”: e soli, perché sono sempre stati soli.

Ecco perché ti chiederai se “gli esterni” si fideranno di te e di quello che dirai quando tenterai di difendere la ragazza bravissima che però all’improvviso balbetta, o il ragazzo che è partito da meno di zero… ma oggi (toh!) non si ricorda quando è nato Manzoni, o sbaglia una formula, o gli scappa di bocca una cavolata.

Nessuna pietà neanche per te, ragazzino problematico e introverso. O per te, bravo ragazzo con la camicia delle grandi occasioni, che non segui la moda, che riesci ad attribuire ancora tanto valore alla scuola perché per te è motivo di riscatto. Magari sei italiano di prima generazione, hai un cognome pieno di h e di xyz, ma non sai neanche più dire buongiorno nella lingua di tua madre, perché tua madre con orgoglio ha voluto che tu la dimenticassi, affinché fossi più italiano dei ragazzi italiani che la lingua italiana non la conoscono bene quanto te. Tu con la tua bella scrittura. Con i tuoi quaderni ordinati e puliti a fronte di quelli zozzi e spiegazzati degli altri che ti danno del retorico e dello sdolcinato. Tu, ragazzo italiano di prima generazione che sai dare un valore al tuo nuovo Paese, e a uno Stato a cui guardi con gratitudine e che per te rappresenta un valore conquistato, per nulla scontato come lo è per tutti gli altri ragazzi.

L’esame è l’esame! Deve insegnare che così è la vita! gli diranno, incastrati nel ruolo.
La vita è uno schifo
, penseranno di contro loro, sconfitti prima ancora di iniziare la partita. E lasceranno il campo a quelli furbi e brillanti, perché la lezione appresa sarà: non c’è partita.

Ecco. Ecco perché sei agitato per questi esami, caro commissario interno.

A volte, però, accade che Dio getta i dadi.

Accade che sette persone finiscano insieme a lavorare con fiducia. E che ognuno ci metta dentro tutto il bello che ha. Accade che si crei un clima di collaborazione, interamente concentrato su tutti quei ragazzi, i più bravi e i meno bravi, i furbetti e gli onesti.
Accade che sette persone, sinergicamente, siano capaci di creare, di ascoltare e di vedere, di valorizzare. Accade che si sorrida. Che ci sia un clima di fiducia. Che non si umili nessuno. E che davvero pochi vadano via con la convinzione di essere stati trattati ingiustamente.

A volte accade, insomma, che si faccia un buon lavoro.

BRAVI TUTTI.

 

Grazie a Dino, a Francesco, a Marco e Nives (in rigoroso ordine alfabetico!)

Grandissimi.

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