AFFRONTARE LA PAGELLA

La fine dell’anno scolastico è un momento delicatissimo per tutte le componenti attive della società, dai diretti interessati, i ragazzi, alle famiglie e agli insegnanti, che raccolgono in questi giorni il frutto del proprio lavoro. Didatticamente è un momento cruciale, che i docenti vivono con quella leggera emozione che si prova nel vedere i propri ragazzi cresciuti, sia come studenti che come persone, perché di anno in anno i ragazzi apprendono non solo nozioni e contenuti, ma anche comportamenti e capacità fondamentali, come l’autocontrollo e la correttezza di relazione con l’autorità e le istituzioni, che deve essere disinvolta ma non sfrontata, obbediente ma non servile. Ed è a fine anno che la valutazione di uno studente diventa “complessiva”, atta cioè a valutare non tanto la singola performance, quanto un processo durato un anno intero. Questo  concetto non è sempre chiaro, spesso ci si lascia attrarre da una considerazione sbagliata sia delle ultime verifiche, sia dello scrutinio finale o dell’Esame di Stato, che vengono erroneamente vissuti come momenti in cui “cala la mannaia”. I ragazzi devono comprendere che la funzione della scuola non è quella di una caraffa graduata, che misura “quanta” acqua è entrata nella brocca. Ogni studente ha una sua storia, un suo percorso scolastico e uno stile di apprendimento che devono progressivamente affinarsi e maturare nel tempo. La fine di un anno scolastico si pone come tappa fondante per orientare, indirizzare e indicare, attraverso un giudizio, come questo stile di apprendimento  si stia evolvendo o possa diventare sempre più funzionale. Bisogna spiegare ai ragazzi che lo “sprint finale” su cui molti di loro fanno affidamento non può che cercare di riempire un po’ quella brocca di acqua, raccogliendola fortunosamente da qualche pozzanghera, ma a nulla servirà ai fini del processo valutativo o di crescita culturale. I ragazzi dovrebbero avere segnali chiari: le verifiche degli ultimi giorni, la pioggia dei compiti in classe e degli “interrogatori” (così loro definiscono in gergo scolastico le ultime interrogazioni) disorientano, creano false aspettative. Senza nulla togliere a chi intenda migliorare la propria posizione, bisognerebbe cercare di far comprendere che la prestazione finale realizzata in prossimità del nastro di arrivo in modo ansioso e compulsivo non è un sistema funzionale. Naturalmente il buon senso dei docenti gioca quasi sempre a favore dei ragazzi e i consigli di classe valutano sapientemente le diverse situazioni, anche perché spesso succede che a fine anno emergano fatti prima sopiti, che i ragazzi decidono di condividere con gli insegnanti solo quando si rendono conto di non riuscire più a “riprendere le redini della loro vita” (questa è l’espressione più diffusa). Il debito scolastico è un’opportunità per recuperare quanto irrisolto o confuso, e non va vissuto come un fallimento, ma come una crescita, come accettazione di una regola volta al recupero. Certo, diverso sembra essere il caso della bocciatura, più raro ed estremo, a cui comunque si giunge dopo una serie di richiami sistematici, di avvertimenti, di convocazioni a colloquio dei genitori. I fallimenti scolastici devono essere vissuti, per quanto possibile, come una tappa di crescita, e va insegnato anche il modo con cui reagire ad essi. In questo periodo finale tutti i ragazzi devono essere assistiti e confortati dai genitori, sia in caso di successo che di insuccesso: non è superfluo raccomandare ai genitori di congratularsi con i ragazzi promossi, con serietà e soddisfazione, per l’impegno profuso e per i risultati ottenuti, per procedere insomma al “rinforzo”. In caso di insuccesso, invece, i genitori e i docenti dovrebbero procedere in sinergia, dare lo stesso segnale, indicare a una sola voce che il modo in cui il ragazzo ha lavorato e studiato non è stato produttivo e cercare con calma di individuare le motivazioni che hanno portato all’insuccesso. In questo modo, quello che si presenta come un momento drammatico potrà trasformarsi in una rara e preziosa fase di crescita e di condivisione. Il debito o la bocciatura non arrivano quasi mai inaspettati, ma in certi casi alunni e genitori confidano fino all’ultimo nella benevolenza del Consiglio di Classe: bisogna insegnare che non è un bel vivere fare affidamento sulla “comprensione” o dipendere da essa. Richiamarli alla dignità, al rispetto di se stessi, credere nella loro capacità di recupero. Un ragazzo richiamato da un insegnante o da un genitore stimati, cercherà da quel momento di dare il meglio di sé e pian piano imparerà a farlo per compiacere se stesso, non l’insegnante o il genitore che l’ha richiamato. E così diventerà un circolo virtuoso. Ma la capacità di iniziare la virtù del circolo, gli strumenti per farlo, li possiede l’ adulto: il ragazzo li sta ancora cercando, e li impara da noi.