DI PIEDI, DI SETACCI E D’ALTRE STORIE

“Si nn pess’ la farina, nn li fe li tagliulin’….”

N’duccio

Dicono che l’estate sia il momento peggiore per rompersi un osso del piede.

Se proprio te lo devi rompere, meglio farlo d’inverno, non ti pare? l’estate è fatta per uscire, viaggiare, correre, scalare le montagne e navigare i mari. D’estate si sta in ferie.

D’accordo, ma uno mica può scegliere. E io non l’ho scelto, anche se un tantino di legge d’attrazione forse ci ha messo lo zampino – e chi possiede qualche rudimento di psicosomatica saprà bene dove collocare l’episodio.

Sapete che c’è?… alla fine non è stato poi così male. Niente arrostata di Ferragosto, niente vacanze obbligatorie, niente racconti di viaggi, nessun debito alle prassi comuni dell’estate. Silenzio assoluto. Ci sei tu e il tuo non poter fare.

Avere un piede rotto in estate è un’esperienza unica, anche perché in città non c’è quasi nessuno: devi arrangiarti da solo su tutta la linea. Il certificato medico? te lo scarichi dal sito dell’Inps. La spesa? La fai online e te la fai portare a casa. E che soddisfazione! Dici ce la faccio, me la cavo, non devo chiedere, posso farcela, anche con l’handicap!

E hai tanto tempo per rimuginare.

La malattia è sempre un momento di ruminazione, si rumina, si rumina… si sviscerano tutte le scelte fatte, a volte si rivivono, si riconsiderano, si aggiustano e si correggono. A volte sbagliando, altre no, ma è sempre davvero un bel processo. Rumini soprattutto su chi c’è e chi non c’è; rumini su chi non c’è e avresti voluto che ci fosse, su chi invece c’è, e non te lo saresti mai aspettato. Ed è una bella sorpresa, ha il sapore dolce dello stupore, di un arrivo inaspettato .

Quando rimetti il naso fuori, l’handicap ti resta incollato addosso.
Quel piede ancora fasciato ti pesa, sei vulnerabile, sei fragile. E questo momento di fragilità te lo vivi pensando che tutti lo vedano, e capiscano, che notino il tuo piede fasciato ancora dolorante, che ti agevolino l’ingresso in un negozio, o che su strada tollerino la tua guida timorosa; o che su un marciapiedi troppo stretto sopportino senza sbuffare i tuoi movimenti impacciati.

Ma non è così. Il piede lo vedi solo tu, ti spintonano perfino, suonano il clacson, perché il piede fasciato mica lo puoi mettere fuori dal finestrino perché lo vedano.

Capisci – per la prima volta nella tua vita lo capisci veramente – quanto possa far incazzare la condizione di chi ha un handicap. La montagna incantata è stato da sempre uno dei tuoi libri preferiti, eppure solo adesso capisci veramente che la malattia è un passaggio obbligato per il Sapere. I cosiddetti sani se ne fregano, è sempre qualcosa che capita agli altri. Anche tu in fondo lo capisci solo adesso, nonostante tutti i libri che hai letto lo capisci veramente solo adesso perché devi portartelo sulla pelle, è un’altra cosa, non è più teoria, non è la carità pelosa di chi dice a bassa voce “poveretto”.
Adesso è sangue, è pelle: la tua.

Però… in un mondo di sani che corrono sull’asfalto come rulli compressori e fanno della velocità il loro stile di vita, tu ti godi tutta la meraviglia della lentezza. Ti godi il caldo, ti godi il sole, perché almeno per un po’ non devi più correre-fare-andare, quindi puoi godertelo. E siccome non hai nulla da dare e hai solo da prendere, scompaiono in tanti, per selezione naturale.
La malattia è un setaccio, separa la farina dalla crusca.

Niente tornerà più come prima: tutto sarà pulito, terso come un fondale di mare quando la sabbia si posa, semplice come impastare la farina setacciata.

Adesso puoi fare i tagliolini.

 


SPECULUM VERITATIS

Gli esperti dicono che i mali sociali dell’800 furono l’isteria e il masochismo.

Il male iniziato nel Novecento sarebbe, invece, il narcisismo. Ed è vero, accidenti.

Dovunque ti volti puoi trovare queste personalità accentratrici, che generalmente amano affiancarsi ad una Eco che possa ripetere quello che dicono, proprio come nel mito di Narciso.

Non si capisce per quale motivo sono superiori a tutti gli altri: non hanno fatto niente non sanno fare niente non hanno niente di più. Eppure la loro convinzione intima e profonda è che sono i migliori: the best in the world.

Nessuno riesce a scalfire questa loro  corazza, una corteccia fatta di convinzione e di un amor proprio che li fa vivere chiusi chiusi dentro il loro specchio, incapaci di apprezzare qualsiasi cosa.

Navigano in un acquario, convinti che sia il mare.

Mostrano un atteggiamento o rabbioso o schifato: non camminano, levitano.

La tua presenza lì infastidisce, perché è insulsa. Ti guardano, ti leggono, e poi dicono: “Tzé, scontata!”. E fallo tu, lo scontato che faccio io. Dille tu, le cose scontate che dico io.

Oppure tanti colleghi che hanno i miei stessi Trenta e lode sul libretto, però i loro valgono più dei miei! Da dove gli deriva questa convinzione?

È che gli specchi sono falsi e bugiardi: riflettono ciò che pensi, e tu di te pensi tutto il bene possibile, e tutto il male del resto del mondo. Ti vedi bellissimo, grandissimo, intelligentissimo.

Cammini, fai lezione, stai in famiglia, vai in bagno… sempre con quello specchio in mano, non puoi lasciarlo mai, se lo lasci sei fregato.

Un giorno ti cadrà, dalla mano anchilosata che lo ha tenuto stretto per così tanti anni.

E allora ti vedrai a pezzetti.

Ognuno di essi ti dirà qualcosa di te che non sapevi.

E l’immagine globale che tenterai di ricostruire nella tua testa unendo tutti quei pezzetti sarà la stessa del Ritratto scoperto in soffitta.

E sarà tardi.