LA FORZA SIA CON TE

Chi non ha mai insegnato non sa niente del primo giorno di scuola.

Non neghiamo che finora ogni insegnante ha pensato che è una bella rottura ricominciare con i campanelli.
Avete idea di che cosa sia lavorare al ritmo dei campanelli?
No, non ce l’avete.
Campanello all’inizio, campanello durante, scalpiccio, rumori, apri finestra chiudi finestra, porta si apre, porta si chiude, bussano, ribussano, bidelli, circolare, registro elettronico, secondo campanello, terzo campanello, o
rganizza un discorso che dura il giusto prima del suono del campanello e se ti fanno una domanda e suona il campanello organizza la risposta in un minuto e mezzo rubato al collega che aspetta fuori perché il campanello è già suonato, e così fino all’ultimo campanello, quello che non senti mai e ti accorgi che è suonato solo perché loro schizzano via dai banchi.

Però non si tratta solo dei campanelli, ma dei ritmi sempre più frenetici, delle invenzioni sempre più strambe, per te che sogni la scuola peripatetica di Socrate in cui si cerchi la risposta alla madre di tutte le domande.
E ogni anno perdi un po’ di terreno, ogni anno la scuola e i suoi abitanti ti sorpassano un po’ di più.
Le sinapsi si arrugginiscono e tu sei sempre più lontano: ogni anno sei più lento.
Loro invece sono sempre più svegli e sempre più veloci.
Tu invecchi, e loro hanno sempre la stessa età.
Cerchi di tenerti al passo, ma è una guerra persa, loro sono sempre più hi tech.
Tu sei rimasto a Dragon Ball e Herry Potter, loro sono proiettati verso influencer dei quali non sai nemmeno pronunciare il nome: Favij, ST3pNy…
Tu hai preparato con diligenza una bella lista di titoli di libri del catalogo Einaudi, e loro sognano Elisa Maino, della quale tu conosci a mala pena l’esistenza per via di quel suo #Ops arrivato già alla quarta edizione Rizzoli. E ti chiedi pure se forse non sia il caso di leggertelo.
Tu sei rimasto a X-files, e pensi di essere un gran figo perché hai imparato tutto di questa serie, ma loro sono proiettati nella incomprensibile dimensione di Breaking Bad.
Non ce la farai mai a raggiungerli, nemmeno col paradosso di Achille e la tartaruga.
Per di più, devi raggiungerli con Ulisse, Enea, Achille. E loro inseguono progetti crossmediali con la Warner Music.
Loro ti sognano affascinante come l’insegnante di Perceptions.
E tu somigli al massimo a Minerva McGranitt se sei femmina, e a Yoda se sei maschio.

E allora?

E allora non guardarli così, in branco. Ritagliali da quel puzzle, e tirali fuori dalla massa. Soffia via un po’ di trucco e parrucco, e allora riesci a vedere che hanno solo quindici anni, o poco di più, e tanta sete, e tanta fame. E che non sono poi così diversi da quelli che avevi dieci, venti anni fa, se sai ancora sederti per terra nonostante gli acciacchi alle ginocchia. Loro ti si siederanno lì vicino, per ascoltare le storie che sai raccontare. Dei piccoli, potrai sentire il cuore che batte di paura. 
Chi non ha mai insegnato non sa che il giorno prima del primo campanello senti sempre un friccico nel cuore.

SIT KARMA

Certi giorni sono giorni dharma.

Oggi, per esempio. Mi sono fermata all’edicola e ho incontrato una signora che mi ha sorriso e ha fatto una carezza al mio cane, cosa rara e preziosa. Eh, aspettate! Aspettate a dire che è la solita stronzata retorica, non è questo il punto, lasciatemi continuare a raccontare. Cosa rara e preziosa dicevo, ancora più rara e preziosa in questa città, dove tutti sono incazzati, anzi hanno l’incazzatura congenita, gliela vedi nella faccia, nei piedi, nel modo di camminare, nel tono della voce. Certo, per lo più se ne ha ben donde, in questo contesto, eppure io credo che bisognerebbe sforzarsi di sconfiggere questo stato di infelicità, coprendolo con le piccole cose che ci fanno contenti. Vedere qualcuno che ti sorride è una di quelle cose.
L’emozione subito mi si è tradotta nell’allargarsi di un sorriso vero e profondo

Il tutto dura pochi istanti. Poi lei prende il giornale e fa per lasciarmi il posto, ma ci ripensa e chiede un gratta e vinci. Mi chiede il permesso di grattare subito lì davanti, io dico prego si figuri faccia pure. Gratta… e vince! Cento euri. Ci mettiamo a ridere tutte e tre (pure Roberta, la ragazza dell’edicola). Alla signora gentile si scompigliano i capelli, è veramente emozionata, intanto io rido come una matta, sono contenta davvero. Questa bella sensazione me la porto dietro.

Poco dopo sono in macchina, oggi è il giorno del miele e faccio un breve viaggetto per il mio rifornimento invernale.

Per strada un tizio con un bel macchinone luccicante inizia a tampinarmi, spinge, spinge, freme, s’attacca al posteriori. Io quando mi tampinano non accelero mai, anzi rallento per farmi sorpassare, a volte addirittura metto la freccia e accosto, e mentre mi affiancano gli faccio un gesto di incoraggiamento con le mani per dire e passa, passa, vai, vai corri che tanto ci vediamo in fondo alla strada. E così è. Mi affianca, mi lancia uno sguardo dal finestrino, come a dire levati dalle balle.
Non ricambio minimamente. Vai, vai: pur col tuo macchinone, sei e resti un cafone.

Scendo giù giù per la china, la strada finisce a uno Stop.
E lui è lì. Allo Stop ci si deve comunque fermare.
Sorrido.
Ehi, aspettate, pure stavolta non è mica finita.

Avrei voluto attaccarmi al suo posteriori per farmi riconoscere – lo vedi? sono quella di poco fa, alla fine siamo arrivati insieme, lo vedi? corricorri, e poi ti devi fermare allo Stop. Ma una Golf blu confluisce sulla strada, si infila tra lui e me, arriva sullo Stop. Il guidatore già arriva lungo, per di più evidentemente si distrae e… CRASCHHHHH……
ENTRA. Entra letteralmente nel posteriore del macchinone. Il cafone di cui sopra scende con le mani nei capelli. Dalla bocca, qualche suono disarticolato: …la … mia…. macchina
Metto la freccia… svicolo lentamente… lo affianco… gli guardo il posteriori completamente distrutto… passo lo Stop e me ne vado.

Una risata incontenibile mi sale dalla pancia alla bocca… rido… rido… rido!

E penso che sì, oggi è stata una bella giornata, un buon giorno per vivere.
Ogni volta che mangerò il miele, me ne ricorderò.

Sarà un miele dolcissimo, quest’inverno.

TWIN

Twin è un pointer bianco e nero.

L’ hanno abbandonato nei pressi del canile e lui è rimasto in zona, con il modo di fare tipico dei cani da caccia: girano, girano, girano instancabili. Twin gira nel parco guardando per aria, in alto, sulle fronde degli alberi, in attesa di un frullo d’ali da inseguire. In quello sguardo c’è un mondo intero, una storia che nessuno sa, ma che mi sono fermata ad ascoltare, in rispettoso silenzio, tante volte.

Stamattina però Twin aveva un padrone, un giovane uomo con un altro pointer bianco e nero, molto simile a lui. “Per questo l’ho chiamato Twin, gemello!” mi dice. Gemello del suo vecchio cane.
“Il mio cane ha tredici anni, questo ne avrà quattro, al massimo cinque”. E mentre dice questo a me sembra che dica: “adesso ne avrò uno uguale, e quando il mio amico mi lascerà avrò il suo gemello. Me l’hanno mandato uguale, e io l’ho preso, me lo sono portato subito a casa”.

L’uomo ha l’accento dell’Est, e gioca sul prato tirando un bastone ora all’uno o all’altro dei suoi due cani gemelli diversi. Il pointer vecchio resta seduto, il giovane corre e corre, e ogni tanto si allontana, e scompare, poi torna quando l’uomo fischia, come fosse il suo cane da sempre. A quel fischio, Twin arriva scomposto, con la lingua che balla a destra e a sinistra.
A un certo punto gli dice “seduto”, gli prende la testa tra le mani, gli apre la bocca. Poi alza la testa verso di me, e mi dice “guarda”. Sotto i lembi delle labbra vedo i canini, da un lato e dall’altro, segati. La bestiola ha i canini senza punta, spezzati, glieli hanno spuntati. L’ultimo tentativo di renderlo buono alla caccia.
Resto senza parole. L’uomo mi guarda e non parla, fa le spallucce, e poi una smorfia. E Twin resta lì, la lingua sempre fuori, gli occhi sempre persi sulle cime degli alberi, attenti a ogni muoversi di fronda, pronti a dare il comando di correre a prendere.

Non era buono a cacciare, Twin, azzannava le prede. Ma segargli i denti… Si fanno cose orribili. Ma c’è poco da scandalizzarsi, si segano i denti anche alla gente, quando “non è buona” allo scopo.

Per un sacco di gente, un cane vale l’altro.
E per ogni cane, c’è un gemello coi denti segati.

Ma ogni tanto c’è pure qualcuno che sceglierebbe sempre lo stesso cane, fedele più di quanto non lo fu il cane stesso, al punto da portarsi a casa il gemello.

Me ne vado.
L’uomo dell’Est resta lì con le sue bestiole uguali e diverse, continuando a giocare sul prato come se il tempo non esistesse, come se non ci fosse niente di più importante da fare.
Malinconiche e felici, le sue mani vigorose raccontano al mondo di aver messo riparo, per una volta, a una grande, grandissima ingiustizia.