Poi
ogni tanto…
Beh,
ogni tanto c’è il rock.
Poi
ogni tanto…
Beh,
ogni tanto c’è il rock.
Tu paglia bruciata
senz’ombra
e spoglia di rami, di foglie
volasti
di vivide vele di vento,
tu Pneuma,
Spiritus,
Animus,
Mens.
Habeas corpus,
habeas nunc
habeas tuum
Pondus.
Il Sorriso è quando
s’alza dal mare
il tuo blues.
Primavera cova
profumo di fragole
ancora una volta.
Ancora
volta per volta
una volta alla volta.
Questa è la mia volta.
Hang Massive – Once Again
Solo lettere
possiede la mia testa,
e niente numeri.
Che poi son anche numeri, le lettere.
Però sono in incognito,
aolo qualcuno sa
dove le deve mettere.
Con me non ci puoi fare un conto rapido
con me non ci puoi fare nessun calcolo.
Non hanno i limiti
le lettere,
al limite
hanno un quadrato magico.
Possono nominare ciò che vedono
possono bestemmiare e benedicono.
Ti ignorano
se cerchi di ridurre tutto ad una formula.
Non conta
colui che -invece dei numeri- ha le lettere.
Eh, però, vuoi mettere…
Io sono avvantaggiata:
non ho tribù o comunità che prega
e che m’ha aiutata
– anzi, m’ha affossata.
Nigger
Easter
oh sì…
sì che sono avvantaggiata!
“Those who have suffered
understand suffering.
The storm that brings harm
Also makes fertile…”
Hollywood Party – L’irriducibile
Animula vagula disse
“Non ferirmi mai più
non più
non serve
sta’ zitto
non fare mai più
il cane che schizza sul muro.
Son anima blandula io
son io
quella forza che vibra e che tu puoi amare
non serve sparare
non serve ferirmi mai più”.
Invece sparò.
E così
– piaccia o non piaccia –
per sé salvò il vaso.
Ma perse le braccia.
Il Mago disse
che avevo un lunapark
dentro la testa.
Un posto
per mangiare zucchero filato
e giocare al tiro a segno
sotto una pioggia di colori
e luci.
Niente montagne russe,
nel tuo lunapark
– mi disse –
ecco, è il momento
di mettercele dentro.
Salii sopra al vagone
serrai gli occhi forte forte
e forte, wow… mi cantai la sua canzone.
Lascia che sia
bianco il tuo vestito
e fatta fuoco
l’anima ribelle.
Dissimula le ali,
ma quando è tempo àprile
vattene
prendi il tuo vento
e sali.
Genio della casa
piccolo spirito delle pareti
lasciati prendere dal tuo altare,
sali sulla mano forte e dolce.
E’ mano buona,
mano che parla agli animali
e sa domare i lupi,
sali.
Voglio che tu stia,
e tessa fili d’argento
stampi la vita
sui muri senza nome,
maestro di pazienza.
Io ti saprò nascosto
presenza
della sua mano tesa
sulla tela
sospesa.
Sulla schiena
tutto sulla schiena
ogni fatica ogni pena
s’appollaia sulla schiena
curva l’albero maestro
che s’oppone che resiste,
ah se fosse più cedevole,
se la schiena s’arrendesse
sorridesse
tatuata sulla pelle
se non fosse più ribelle
ah per me se sorridesse
come quando ha cose belle
come quando
come quando
come quando ha cose belle.
E’ forte il mio albero:
ha linfa che scorre.
E una bella corteccia ritorta
e fa il duro.
Ma è solo di me che si cura
è solo di lui
che mi curo.
Nina Simone – My baby just cares for me
Ha la forza di tre uomini, Maria
lavora
con le mani e con la schiena
anzi no, non lavora, Maria,
non tocca cose
non pulisce lava sposta:
lei lotta.
Quando io
stanca mi piango la schiena,
lei tira da mulo testardo.
Non lavora, Maria, fa di più,
rispetta le cose che tocca,
le ama,
e non è per i soldi
lo senti che è amica sorella,
è così:
Maria confida
nel sapere salvare le cose.
Cinque anni
e che storia da film
quest’esserci amiche.
Se chiamo
lei lascia e mi corre.
“Abbiamo sofferto quei giorni, Luisa,
tu non ti stancare, dà me, dà me,
tu dimmi, io faccio”.
La guardo
e soffro che all’Est
il tempo sia un po’ più veloce che qui.
Ma le cose confidano
che noi le salviamo.
E le salva, Maria,
e son tutte belle
hanno storia
le guarda con occhi lucenti.
Se chiedo perché
lei dice non è
per andarmene via,
è che io ho due figli, in Romania.
L’imbarazzo
è pesare coi soldi quest’ esserle amica,
e lo faccio discreta.
L’imbarazzo
è prenderli essendomi amica,
e lei dice: “Per figli, non mio!”.
La guardo.
E penso col groppo
“Sì. Anch’io”.
Ora parli
chi non ha perso niente.
Sciorini languide pellicole.
E infili dita in gola di chi guarda
– c’è del gusto,
e paga.
Tessa pure tele e pagine.
Ma non sarà un’immagine
che cura.
O finga un garrulo
punto e a capo
sul volare ancora.
Lo fa perché
non ha perso niente.
Nessuna esibizione
sarà concessa
da queste bocche chiuse.
E il dolore,
unica cosa reale.
Ah davvero
potessi ricominciare
a mille miglia da qui.
So il silenzio,
in questi giorni.
E chiudo
con mani vecchie
il coperchio
del mio
pianoforte.
Apri un sito e guadagna con Altervista - Disclaimer - Segnala abuso - Privacy Policy - Personalizza tracciamento pubblicitario