IL SERPENTE NERO


E’ l’inverno, è l’inverno,
è l’inverno del nostro scontento!
Oh Ctonie, Ctonie senz’occhi,
Ade crudele dai bianchi capelli
Ade cuore di ghiaccio,
rapisti Proserpina
scomparve per me Primavera
e per me
per sempre
per sempre sarà
l’inverno

l’inverno del nostro scontento.




Jeff Martin – Black Snake Blues


APOSTROFE AI GORILLA

“Avanti! Venite avanti!
Prendetevi la vostra rivincita su di me, ora,
dopo quanto ho riso io di voi, allora!
E’ il mio turno, il mio turno, non il vostro, il mio
di essere come voi prima,
e voi come me,
e restateci voi com’ero io,
che io ci resto volentieri, com’eravate voi!”




Gorillas In The Mist


TOM WAITS DOCET DICITQUE

…. I’ll feel my way down the darkened hall,
And out into the morning,
The hobos at the freight yards,
Have kept their fires burning,
So Jesus Christ this god damn rain,
Will someone put me on a train?
I’ll never kiss your lips again,
Or break your heart,
As I say goodbye
I’ll say goodbye,
Say goodbye to Ruby’s arms.




Ruby’s Arms – Tom Waits


MERITATO RIPOSO ANCHE PER ME

Ho corso ho corso ho corso!

Figlia studente lavoratrice terremotata, ho corso!
Ho corso ho corso ho corso senza riposarmi mai! correvo martellavo costruivo
una barca e ogni volta che s’è sfasciata io l’ho costruita di nuovo, di corsa!

Un giorno ho poggiato il martello.
E quel giorno un uomo ha saputo di me.

Ho guardato la barca, l’ho messa in acqua, le ho dato una spinta.
E mi sono seduta.




Kalaban Coura – MALI


FARCELA…

Ce l’ho sempre fatta da sola.
Mettendomi in fila,
aspettando il mio turno,
senza inciuci,
senza amici di amici,
seguendo la strada della legalità,
senza neanche troppo sbraitare.

La forza è una legge,
e la forza mi traspare.

Ma ora se n’è andata,
non ce n’è,
lei mi ha lasciata
e mi ha lasciata pesta,
stanca di cavalcare la tempesta.

Ora io devo riposare…
Conosco un solo modo, ed è nuotare.

Nuotare fino all’occhio del ciclone,
e lì fermarmi

provare a cavalcare la passione.




The Doors – Riders On the Storm


CERTI GIORNI HAI LE TUE RIVINCITE

Certi giorni hai le tue rivincite.
Giorni in cui ti si conferma che non eri pazza, che avevi ragione tu, che le tue battaglie erano quelle giuste.
In quei giorni la vita ti dà la soddisfazione che ormai non aspettavi più, e proprio quando non te l’aspettavi lei ti dice che era così, era come dicevi, era proprio come pensavi quando eri tu a gestire le cose, ed era giusto fare come hai fatto, non cedere, giusto dire quello che hai detto, “o così o me ne vado”, e andartene, sbattendo la porta, con la furia e la passione che ti caratterizzano, per scelta.
Certi giorni sei fiera dei tuoi non-signorsì, fiera di esserti esposta al giudizio dei falsi che hanno detto che hai mollato, che hai sbroccato, che sei uscita di testa, e lo hanno detto fino al punto da fartici credere, al punto di renderti uno straccio, una rinunciataria, una debole. Tutti Yes-men, Yes-women, tutti contro li hai avuti, isolata, emarginata.

Poi accade che certi giorni, come oggi, il vento cambia.

Magra consolazione, essere una Cassandra.
Peccato, adesso, non avere più la forza per dare ancora.
Peccato che adesso non mi importa più, perché me ne sono andata via.
Peccato per loro, i ragazzi.
Non avevo solo i miei, ne avevo mille, li avevo tutti.

Ma ormai sono lontanissima.
Ormai, sono Altrove.
Il campanello, per me, non suona più.




School Roger Hodgson, co-founder of Supertramp, singer songwriter


LA FINE DELLE STORIE

Quando scrivi una storia, o quando la racconti, la cosa più difficile è sempre la fine.

Di qualsiasi storia si tratti, vera o immaginata, verisimile o fantascientifica, raccontare la fine è difficile perché nessuna storia finisce veramente. Solo la morte può far finire una storia in modo matematico: il personaggio muore, la storia finisce. Ma se NON muore è lì il problema. Se il personaggio non muore, la storia continua. Per uno scrittore una storia non può finire mettendo un punto. Chi scrive sa che quel punto vale sulla pagina, può valere per chi legge e vuole essere rassicurato, ma nella vita le cose vanno diversamente. Un punto è un pugnale, o un acceleratore, è un inizio, o l’inizio di una fine che avrà il suo tempo per finire. Una storia o una vicenda o un’avventura non si concludono mai come avviene nei libri. Chi scrive inventa, e inventare la fine è ingannare chi legge.
Per tanti anni non ho più scritto per paura di scrivere i finali. Poi un giorno ho ricominciato, ma i finali erano sempre sbagliati. Perché la vita ha questo: non riesci a immaginare o a prevedere, lei va sempre oltre, oltre, oltre il narrabile e verso l’ineffabile. E tu non puoi che inventare nella lucida consapevolezza che poi le cose andranno diversamente.
Li ho riscritti, a volte, i finali delle mie storie. Rivisti, rimaneggiati, limati, allineati al vero. Non posso tollerare di raccontare favole, invece che storie. Ma ogni volta quel finale mi lascia con un ronzio nella testa. Il finale non va mai bene, perché non esiste, un finale. Niente e nessuno ti lasciano con un punto e a capo. Resta un capitolo, e non puoi strappare le pagine. E la storia che scrivi dopo, se hai un cervello evoluto, avrà sempre “in sé” quel capitolo.

Bisogna scriverle, le storie, se si ha a cuore il Vero, con l’unico finale possibile e credibile, l’unico finale che esista davvero.
Allora sì, che sono credibili.





Period Drama – The End of the Story


L’AQUILA TOUR IN BLUES

L’Aquila, 1 settembre, domenica mattina, ore 9,00.
Faccio un giro in macchina, da Piazza D’Armi fino alle macerie di casa mia, ancora rasa al suolo. La vedrete come un piccolo sito spianato, in mezzo a palazzi già in ricostruzione.
In realtà volevo soltanto andare a scattare un po’ di foto lì in zona, poi per strada mi è saltato in mente di accendere la cam così, per gioco, e di appoggiarla al portaocchiali che avevo appeso al collo. La strada che vedrete percorrere è Via XX Settembre, e ci sono tutti i colori del sisma: i palazzi crollati, i nastri di transennamento, i puntellamenti. E fin qui niente di nuovo, la solita pappa.
Ma quando a casa ho rivisto il filmato, mi sono accorta che la musica che stavo ascoltando in macchina riusciva a sincronizzarsi perfettamente, in modo del tutto casuale, con le situazioni del tour. Per esempio, quando all’improvviso mi compare davanti un trabiccolo tipo “Ape”, carico di roba da traslocare, forse uno svuotacantine, la musica cambia, si adegua alla scena. E quando arrivo a casa…. beh.. quando arrivo a casa… che coincidenza impressionante! se mi fossi proposta di farlo, di sicuro non ci sarei riuscita. E’ che il blues ci sente…. e ci accontenta sempre.
Che ho pensato davanti a casa mia? Per la prima volta, dopo quattro anni, ho pensato:
“Basta, non me ne importa…”
E ho spento la cam.
Ma la musica continua nella testa…




L’Aquila tour in Blues

Il video non è più disponibile, qualcuno lo ha segnalato…. BOH!