LETTERA APERTA A DON CLAUDIO

Premessa al lettore: questa lettera aperta fu pubblicata su un giornale on-line nel dicembre  del 2009. Chi scrive si rivolge a Don Claudio Tracanna, persona di grande sensibilità e accortezza, vicina e attenta alle problematiche giovanili.

Caro Claudio,
scrivo a te quale direttore dell’Ufficio Diocesano delle Comunicazioni sociali, ma soprattutto quale collega, amico, insegnante amatissimo dai ragazzi e, ultimo ma non ultimo, cittadino aquilano. Parlo a te perché forse con te riuscirò ad arrivare fino in fondo, magari con te riuscirò perfino a capire, magari tu avrai la pazienza di rispondermi in modo pacato e con la volontà, a tua volta, di capire me. Il momento che stiamo vivendo chiede a tutti i cittadini aquilani di esserci: lo chiede a tutti, ma in particolare lo chiede alla gente di scuola, perché i ragazzi ci guardano e apprendono da noi, ci guardano e imparano come si fa, da come noi facciamo. Oggi non si può restare lontani: oggi un imperativo morale chiede, a chi ha una coscienza, di “esserci” con tutte le scarpe.
Questa lettera nasce da un primo impulso, e di seguito, a catena, da tanti altri. Il primo impulso è stato il disgusto nei confronti della costruzione, in Piazza D’Armi, della Mensa di
Celestino e annesse strutture. Si sapeva da tempo, pensavamo a qualcosa di paragonabile (quanto a dimensioni) al preesistente, non a un qualcosa che ingoiasse mezza piazza. Lo sdegno che ho provato a vedere (scusa) quello scempio, è stato pari alla delusione che ho provato (scusa) subendo il tradimento di persone di cui mi fidavo ciecamente. Io non avrei accettato quel pezzo di città. Io non avrei detto “meglio a noi che a un altro”. Quel pezzo di città, in questo momento, era importante per gli aquilani. Non discuto su decisioni prese al vertice. Discuto la possibilità di dire di no. Scusa, ma la mia generazione si è nutrita di libri come “L’obbedienza non è più una virtù”. La mia idea di prete coincide con quella di una persona che sa dire “NO”. I libri che leggo, quello che dico a scuola, mi portano naturalmente a cercare nei preti dei Borromeo. “Naturalmente”, dico.
Scusa, ma io non capisco e non mi rassegno. Io credo che il momento chieda un impegno civile serio e importante: e che la Chiesa possa, nella storia, imparare dalla storia. Essa può, nella storia, scegliere da che parte stare. Può cambiare la storia già scritta e quella da scrivere. I grandi uomini di Chiesa hanno saputo imparare dagli errori, da loro ci aspettiamo l’aderenza alla missione di cui l’abito è testimone. Noi cittadini aquilani ci aspettiamo dalla nostra diocesi la stessa cura che l’arcivescovo Confalonieri ebbe per gli aquilani durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Anche noi stiamo vivendo un bombardamento, e chiediamo a gran voce che “chi può” eviti che vengano sganciate altre bombe.
Sono confusa, Claudio, non capisco: non capisco. Ti ho visto schierato contro la deportazione forzata dai campi, ti ho visto benedire le carriole, e ora ti vedo aderire a “Gli aquilani non sono quelli dei comitati”, gruppo che mescola sacro e profano, e dice “Grazie Italia, grazie Protezione Civile, grazie Vigili del Fuoco, grazie anche ai nostri amministratori locali che hanno avuto un compito difficilissimo in questi mesi”. Va bene, grazie, bravi, buoni, buonissimi, caritatevoli tutti quanti, MA ADESSO? Le case di carta ce le hanno date, è vero, e siamo usciti dalle tende. E grazie. Ma il prezzo deve essere quello di morirci dentro? E allora che aiuto è? E’ il tozzo di pane che si dà al povero? Provo il disprezzo dei poveri per la carità. “Come? Ti ho dato la casa e tu ti lamenti? Mordi la mano che ti nutre?”. A me hanno insegnato che l’impegno sociale è ben altro che questo. E il primo a insegnarmelo fu il mio insegnante di Religione di Liceo, si chiamava Don Giuseppe Molinari. Perciò io un impegno della Chiesa me lo aspettavo. Invece, terra tolta al centro della città, solchi scavati tra cittadini, sostegno a comitati contro altri comitati. La nascita di comitati contrapposti è normale, si è verificata fin dall’inizio, fa parte della democrazia. Se uno alza un cartello, subito dopo se ne alzano altri tre, e tutto questo “ci sta”. Ma i segnali che arrivano dalla Chiesa sono contraddittori, noi non capiamo. Croce sì, croce no, simboli che invitano altri simboli… “Dove sono due persone nel mio nome, lì è chiesa”, questo mi hanno insegnato. Questo è quello che mi aspettavo. Con-versione. Questo ci aspettiamo dalla Chiesa. Non so perché abbiamo due vescovi, sinceramente anche questo non l’ho capito. Gli antichi romani avevano pro uno rege duo in tempi di pace, ma uno solo in tempi di guerra. Come dobbiamo leggere questo “rinforzo”? E’ una delle tante cose che non capisco. Quello che capisco bene, invece, è che la piazza D’Armi, con tutta la forza di due vescovi, l’avrei lasciata alla città. So che ora unirei, non dividerei, il dia-bolon, è il contrario del sun-bolon. Diavolo è ciò che divide. Ma Claudio, adesso DEVONO RICOSTRUIRCI LE CASE. Le NOSTRE case. Perché siamo una società civile, non abbiamo l’anello al naso. E più strutture stabili accettiamo noi aquilani, meno possibilità abbiamo di tornare nelle nostre case.
Io, un impegno maggiore della Chiesa, per gli aquilani, me lo aspettavo. E ci conto ancora.